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The Covenant, la recensione: mantenere una promessa in una zona di guerra

di Gabriele Di Nuovo

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Disponibile dal 27 luglio su Amazon Prime Video, “The Covenant” è il nuovo film diretto da Guy Ritchie. Il cast della pellicola è formato da Jake Gyllenhaal, Dar Salim, Alexander Ludwig, Emily Beecham e Antony Starr.

Dopo “Operation Fortune” (qui trovate la nostra recensione), Guy Ritchie continua a cimentarsi in generi differenti con “The Covenant”. Attraverso il war movie, il cineasta inglese imbastisce un racconto che alterna atmosfere action, vista la portata del racconto, a quelle drammatiche e sorprendentemente thriller. Con un mix di generi e un duo di protagonisti davvero di livello, “The Covenant” è forse una delle pellicole più interessanti del Guy Ritchie degli ultimi anni e soprattutto di questo 2023. Il regista riesce a staccarsi definitivamente dal suo stile diventato inconfondibile con il passare degli anni e rispetto ad alcuni progetti passati, dove Ritchie ha adottato approcci differenti/ibridi (“Aladdin” e “Wraith of Man”), porta su schermo un prodotto molto interessante e con una storia che racconta situazioni accadute realmente.

Mantenere una promessa

Nel corso del conflitto in Afghanistan, il sergente John Kinley (Jake Gyllenhaal) recluta come interprete Ahmed (Dar Salim), un meccanico che sembrerebbe andare ben oltre le sue competenze. Quando Kinley e la sua squadra si ritrovano attaccati dai talebani dopo aver trovato una loro fabbrica di bombe, il sergente e Ahmed restano gli unici sopravvissuti dell’agguato e l’interprete si ritrova a compiere l’ardua missione di salvare Kinley nel pericoloso territorio controllato dai talebani. Una volta tornato a casa, John scopre che il suo salvatore è in pericolo in Afghanistan e decide così di mantenere la promessa fatta quando reclutò Ahmed.

“The Covenant” mette in evidenza una questione trattata raramente su schermo, cioè l’uso degli interpreti in Afghanistan. Questo lavoro avrebbe portato numerose famiglie ad ottenere un visto per entrare negli USA, ma con delle conseguenze: la minaccia dei talebani. Il film di Guy Ritchie risalta questa minaccia che tantissimi afghani ancora oggi affrontano nascondendosi e di come culture diverse possano riunirsi sotto i sani valori della vita e del rispetto reciproco, questo perché nonostante “The Covenant” sia un war movie, al suo interno risaltano sani valori pacifisti.

L’orrore della guerra da un nuovo punto di vista

Come è facile da comprendere dalla trama della pellicola, “The Covenant” racconta il conflitto iniziato subito dopo gli eventi dell’11 settembre 2001 da un punto di vista differente. Il focus non è solo centrato sul militare statunitense, ma viene spostato sull’informatore Ahmed che aiuta i militari USA contro i talebani per assicurarsi una via verso la libertà per sé stesso e la sua famiglia. Sarà proprio l’amore per la famiglia a rendere vicini il sergente e l’interprete. Infatti “The Covenant” attraverso la sua natura da war movie, tocca altri generi e racconta una storia quasi intima, ma al tempo stesso avvicina il pubblico ai due protagonisti.

 

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La sopravvivenza e la consapevolezza di avere una famiglia che aspetta i due protagonisti a casa, mettono in moto le dinamiche di “The Covenant”. Il rapporto tra i due viene mostrato sin da subito travagliato, complici i loro caratteri molto simili. Ma quando l’istinto di sopravvivenza prende il sopravvento, tra i due nasce un rapporto che va ben oltre la guerra in corso e i pregiudizi. Attraverso la relazione tra i due protagonisti, Guy Ritchie vuole raccontare al pubblico una storia che non si concentri principalmente sulla guerra, ma lanciare un semplice ed efficace messaggio di pace al netto delle poche ma buone sequenze action presenti nella pellicola.

Una varietà di sottogeneri

Come già scritto sin da subito, “The Covenant” è un war movie. Rispettando tutti i canoni del genere, la pellicola però tocca altri generi. Dal thriller al drammatico a tinte indie, l’ultimo lavoro di Guy Ritchie si mostra solido sotto ogni genere toccato nel corso del racconto. Il thriller non è menzionato erroneamente perché “The Covenant” inizia con questo approccio. La ricerca delle fabbriche di bombe porta Kinley all’interno di una vera e propria indagine ma subito dopo l’assalto, “The Covenant” diventa un road movie a tinte survival. Attraverso il viaggio, la pellicola mette in evidenza il territorio martoriato dalla presenza dei talebani e risalta le analogie tra Kinley e Ahmed. Ritchie, che ha scritto il film insieme a Ivan Atkinson e Marn Davies, porta su schermo una combinazione di generi molto efficace.

Se nel suo lavoro precedente il cineasta inglese ha cercato di combinare lo slang dei suoi film iconici al mondo dello spionaggio, non riuscendo al meglio nel suo intento, in “The Covenant” Ritchie riesce nel suo obiettivo uscendo completamente dalla sua comfort zone. Non è mai facile in un racconto combinare più generi, soprattutto quando questi portano ad un completo cambio di tono del racconto. Ma “The Covenant” riesce a bilanciare al meglio il tutto, offrendo un racconto semplice, efficace ma che soffre però i vari comprimari completamente superflui. Unico neo di una pellicola che nel suo complesso è solida, è la scrittura degli altri personaggi che restano fin troppo sullo sfondo delle varie vicende in cui sono coinvolti gli ottimi Jake Gyllenhaal e Dar Salim.

Un classico war movie

Per “The Covenant” Guy Ritchie sceglie una regia meno elegante rispetto al solito. Per portare al meglio lo spettatore nell’Afghanistan del 2008, il regista mette in evidenza una regia molto più ansiogena e, nelle sequenze action, frenetica il giusto, evidenziando le situazioni critiche in cui si trovano i protagonisti quando sono attaccati dai talebani. Dopo “Aladdin”, il regista britannico ha iniziato a sperimentare molto con la regia e la scrittura e nonostante un ritorno al passato nel 2019 con il buonissimo “The Gentleman”, Ritchie si è messo completamente in gioco e “The Covenant” è la prova evidente di come sia un cineasta molto più completo e persino cresciuto rispetto al passato.

 

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Le sequenze action sono ben girate e riescono a portare su schermo al meglio il conflitto afghano. A non essere del tutto ottimale è l’uso della CGI per quanto riguarda alcuni elicotteri e aerei che appaiono nel corso del terzo atto. Nonostante questo, “The Covenant” offre delle sequenze di guerriglia girate in modo valido e ancora una volta il regista mostra di riuscire a differenziarsi anche sotto questo aspetto. Infine la fotografia di Ed Wild è buona, ma in linea con tante altre pellicole ambientate in Afghanistan e che raccontano il conflitto tra Stati Uniti e talebani.

Considerazioni finali

“The Covenant” è un valido war movie che riesce ad alternarsi a vari generi. Dal road movie al drammatico, Guy Ritchie racconta una storia semplice che mette in risalto dei messaggi importanti nonostante l’ambientazione in cui i protagonisti muovono i loro passi. Il film è una storia che va oltre i confini, mostrando come due persone diverse possano essere molto simili e l’importanza della famiglia. Senza risparmiare delle piccole critiche nei confronti della burocrazia USA. Forte delle interpretazioni dei suoi due attori protagonisti, “The Covenant” è una pellicola molto solida che intrattiene lo spettatore con una buona storia e delle buone sequenze action. Uniche pecche di un titolo complessivamente valido sono la scrittura dei comprimari fin troppo approssimativa e una CGI non ottimale sul finale.

Pro

  • Le interpretazioni di Jake Gyllenhaal e Dar Salim;
  • La regia di Guy Ritchie, capace anche da sceneggiatore di uscire definitivamente dalla sua comfort zone;
  • La morale di fondo della storia, molto semplice ma efficace;
  • Le sequenze di guerriglia tra militari e talebani.

Contro

  • La scrittura che rende i comprimari sfondo degli eventi del racconto;
  • La CGI utilizzata per i mezzi militari aerei.

 

 

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