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Lo Sapevi che? – Come e perché le nostre dita raggrinziscono a contatto con l’acqua

di Federica Caiafa

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Di recente i ricercatori hanno soffermato la loro attenzione sul fenomeno del raggrinzimento delle dita a contatto con l’acqua per cercare di capire, ad esempio, come e perché si verifica. Le più accreditate risposte così ottenute sono state di recente illustrate da Geopop, che ha redatto un riassunto del nostro sapere in merito.

Scienza, nuove risposte alle domande sul fenomeno del raggrinzimento della pelle immersa nell’acqua

È un fenomeno che tutti possono facilmente veder accadere, sperimentandolo (letteralmente) sulla propria pelle. Quando ci immergiamo in acqua, magari quando siamo in piscina o al mare, dopo un po’ sulle nostre mani si formano tante piccole rughe, con successivo invito, quando si è bambini, dei propri genitori ad uscire dall’acqua.

Molte certezze, però, che nutrivamo nei confronti di tale fenomeno, non sembrano essere fondate. Studiando questo meccanismo, infatti, gli scienziati sono arrivati a nuove risposte, superando così le vecchie, per le domande che ci siamo sempre posti.

Così, anche una delle più diffuse convinzioni, già citata, è stata superata. È infatti ormai stato appurato come non vi sia nessun motivo scientifico per uscire dall’acqua al verificarsi di tale fenomeno. Tali ricerche ci hanno fatto anche scoprire come la velocità del raggrinzimento dipende anche dalla temperatura dell’acqua. Le rughe, infatti, secondo uno studio pubblicato nel 1997 sul Journal of Hand Surgery da Lorri Cales e Robert Weber, si andrebbero a formare più velocemente quando siamo immersi in acque calde, mentre l’acqua fredda porterebbe ad un più lento raggrinzimento.

Noi chiediamo, la scienza risponde: come mai le nostre dita, a mollo, raggrinziscono?

Ma ancora: le recenti ricerche hanno anche stabilito come quest’evento non si verifichi a causa della penetrazione della pelle da parte dell’acqua. Per lungo tempo, infatti, si è creduto che tali rughe si formassero a causa dell’acqua che riusciva, dopo un po’ di tempo passato a mollo, ad “entrare” nell’epidermide e a causare il gonfiamento delle cellule.

La vera risposta, invece, sembrerebbe essere un’altra. Un articolo pubblicato da due ricercatori del National University Hospital di Singapore, infatti, descrive tale fenomeno come una risposta del sistema nervoso autonomo. A seguito del prolungato contatto con l’acqua, cioè, il nostro sistema nervoso risponde restringendo i vasi presenti all’estremità delle dita di mani e piedi (causando, ovvero, una vasocostrizione), portando a una diminuzione del volume del sangue nei polpastrelli, e quindi alla formazione delle famose rughe.

Ponendo attenzione alle mani, così, sarebbe possibile verificare il corretto funzionamento del sistema nervoso. Nei soggetti che, ad esempio, hanno subito una lesione di nervi, il verificarsi di tale fenomeno proverebbe il ritorno della funzione nervosa.

Non solo come ma anche perché: il motivo evolutivo dietro tale meccanismo

Secondo uno studio pubblicato nel 2011, il processo evolutivo ci avrebbe permesso di conservare tale reazione per i vantaggi che comporterebbe. Questo meccanismo sarebbe infatti funzionale a garantirci un aumento dell’attrito in acqua. Tramite tale rete di rughe, difatti, gli oggetti a noi circostanti che proviamo ad afferrare non scivolerebbero via, perché sono a contatto con una superficie non liscia, ma rugosa, che permetterebbe così di mantenere più saldamente l’oggetto.

Tale teorie però, non è del tutto consolidata. Dei due studi condotti, nel 2013 e 2014, per verificare tale teoria, infatti, solo uno, il primo, l’ha confermata, mentre l’altro sembra confutarla. Nella ricerca condotta nel 2013, difatti, 20 soggetti sono stati sottoposti a delle prove di manipolazione di oggetti in acqua e fuori dall’acqua, quando solo per alcuni di tali soggetti si era già verificato il fenomeno del raggrinzimento. Secondo tale studio le persone sulle cui mani si erano già formate tali rughe presentavano maggiori capacità di manipolazione di tali oggetti rispetto alle altre.

Diversa, invece, la conclusione del secondo studio. Nel 2014, infatti, un gruppo di ricercatori è tornato sul fenomeno, svolgendo test simili a quelli svolti un anno prima, ma stavolta le conclusioni degli scienziati sono diverse; per questi, infatti, non sono state evidenziate differenze tra le due condizioni, sia per quanto riguarda l’attrito che per la sensibilità, ritenendo così non fondata la teoria formulata nel 2011.

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