“No, non mi sono mai sentito costretto perché ero io che volevo farlo, per imitare il fratello maggiore. Non mi rendevo conto di quello che stavo facendo, per me era un gioco. Come altri bambini facevano uno sport o un’altra attività extrascolastica io facevo il doppiaggio e accompagnavo mio fratello negli studi insieme a mia madre. Era un ambiente che mi piaceva: vedevo Gabriele doppiare dei cartoni e mettere la sua voce su altre facce: mi sembrava un gioco divertentissimo e volevo farlo anche io. Ero io a dire ai direttori di doppiaggio: “Posso provare?”, “Voglio provare anch’io”, “Voglio dirlo anch’io”, “Lo so fare anche io”.
“Dalle prime battutine che provai a dire videro che ero portato e quindi andò così. Non mi sono mai sentito costretto perché per me era sempre stato un gioco. Poi chiaramente, dall’adolescenza, ho cominciato a vederlo come un lavoro che stavo già iniziando a coltivare e che mi sarei trovato tra le mani, forse, per sempre. Ovviamente non è scontato poter fare doppiaggio per tutta la vita: quando si cresce bisogna dimostrare di essere validi e di avere talento, bisogna essere all’altezza di alcuni personaggi, quando si è piccoli alla fine è più facile. Comunque sia, sono stato sicuramente molto fortunato ad avere in mano questo mestiere”.
“I personaggi che mi mettono più in difficoltà spesso sono quelli più maturi di me o che, in originale, hanno la voce più grossa. Mi trovo in difficoltà a dovermi appesantire un po’ e a dover usare i toni più caldi del mio range vocale. Sono un po’ più facilitato quando devo doppiare qualcuno più giovane di me: io ho ventisei anni, quando devo fare i ventenni/diociottenni mi trovo a mio agio; invece, se devo fare un trentenne ho difficoltà a trovare quella maturità vocale per doppiarlo”.
“Per quanto riguarda l’interpretazione, invece, uno che mi ha messo sicuramente in difficoltà è Elio Perlman (Timothée Chalamet) di “Chiamami col tuo nome”. È un personaggio molto introspettivo che con poche parole deve far trasparire tutto il dissidio interiore che sta vivendo. Non è stato facile doppiarlo, in generale tutti quei personaggi molto introspettivi e poco estroversi sono difficili da interpretare: dietro ogni battuta c’è un retropensiero che va espresso in poche sillabe. Spesso Timothée Chalamet è un attore che mi mette a dura prova, anche in “Dune” o nel film di Woody Allen non è stato facile doppiarlo”.
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