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George Best, genio e sregolatezza del primo vero numero 7

di Alessandro Colepio

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Alcuni numeri nel mondo del calcio sono pervasi di una mistica quasi sacra, dei simboli veri e propri che possono essere indossati solo dai giocatori più meritevoli. È il caso della maglia numero 7 del Manchester United, appartenuta a campioni come Cristiano Ronaldo, Eric Cantona e David Beckham. Per capire l’importanza di questo numero ad Old Traffort, però, bisogna tornare indietro agli anni ’60, quando tutta l’Inghilterra era ai piedi di un ragazzo nordirlandese tanto esile quanto talentuoso, che rispondeva al nome di George Best.

La crescita e il successo

George Best nasce a Belfast il 22 maggio 1946 da una famiglia di umili origini. È il primo di cinque figli e cresce dando calci al pallone nei vicoli della sua città. Inizia a giocare per una squadra scolastica e il suo talento impressiona da subito gli osservatori del Manchester United, che sanno di avere davanti il prossimo genio del mondo del calcio.

All’età di 15 anni Best si imbarca e inizia la sua avventura a Manchester, dove dopo due anni nelle giovanili inizia a esser aggregato in pianta stabile alla prima squadra. A 17 anni diventa un titolare inamovibile dell’11 iniziale di Sir Matt Busby, che lo stesso Best definirà il suo “padre calcistico“. L’allenatore sopravvissuto al disastro aereo di Monaco stravede per lui, e come biasimarlo? George è velocissimo, salta sempre l’uomo e ha un ottimo senso del gol. Quando gioca scherza con i difensori avversari, li sbeffeggia, perché sa già che non lo prenderanno mai. Quel ragazzino dal fisico mingherlino e dai lunghi capelli neri non è adatto a giocare sui campi inglesi di metà anni ’60, ma lui non lo sa e continua a dominare il campionato. Il tridente formato da Best, Bobby Charlton e Dennis Law si rivela uno dei reparti offensivi più completi e prolifici del mondo.

La consacrazione europea avviene nel 1965, a soli 19 anni. Best segna due gol in 15 minuti al Benfica nei quarti di finale della Coppa dei Campioni. I portoghesi, all’epoca una vera e propria big del calcio mondiale, vengono colpiti dal talento di Best che spiana la strada al definitivo 5 a 1 del Manchester United. Il giorno dopo la stampa portoghese titola così: “George Best, il quinto Beatle“. Da quel giorno, la vita del numero 7 inizia a cambiare.

 

George Best

George Best su una banconota (@Shutterstock)

 

Ora che è diventato El Beatle ha attirato su di sé le attenzioni di tutto il mondo dello spettacolo inglese. È diventato un sex symbol e viene invitato nei locali più esclusivi. Lui che non aveva mai amato particolarmente la vita notturna inizia a dividere le sue giornate fra calcio, qualche bevuta con gli amici e qualche flirt con la supermodella di turno. Sono gli anni d’oro di George, quelli in cui a sua detta “non ha mai dovuto scegliere se segnare tre gol contro il Liverpool o portarsi a letto Miss Mondo”.

Nel 1968 Best raggiunge l’apice della sua carriera sportiva. Il Manchester United, trascinato dalle giocate del suo fenomeno, vince la Coppa dei Campioni. Nello stesso anno Best viene nominato miglior giocatore dell’anno in Inghilterra e gli viene consegnato anche il Pallone d’Oro, il primo e unico della sua carriera. A 22 anni è il calciatore più forte del mondo e gli si prospetta davanti un grandissimo futuro.

Il declino di George Best

Questa storia non è una di quelle che finiscono col lieto fine. George Best non è mai stato un esempio di professionalità e la sua precoce popolarità non ha fatto altro che aizzare i suoi vizi.

Dopo la vittoria della Coppa dei Campioni lo United attraversa una fase di ricambio generazionale. Tanti campioni salutano Old Trafford e la squadra ingaggia altri giocatori di livello inferiore. I risultati non arrivano e Best, uomo simbolo del club, inizia a perdere interesse nel calcio. Salta sempre più spesso gli allenamenti e rimane fino a tardi nei locali più chic di tutta l’Inghilterra a bere in compagnia di qualche amico e di tante avvenenti signorine.

George è la prima vera superstar della storia del calcio. Il suo nome attira l’interesse delle masse e fa vendere tantissimo. I paparazzi gli stanno alle calcagna e i giornali spesso si inventano qualche scandalo intorno alla sua figura. Le cose sul fronte United continuano ad andare male e George sta perdendo sempre più interesse nello sport. I demoni che lo perseguiteranno per tutta la sua vita stanno iniziando a farsi sentire, ma lui ancora non ci presta attenzione. Beve tanto, troppo, e l’unico interesse che continua ad avere sono le belle donne.

 

Best

Statua delle leggende dello United: Best, Law e Charlton (@Shutterstock)

 

Nel 1974, dopo anni di prestazioni altalenanti e litigi con la società, si trova senza contratto. Il nome George Best ha ancora un peso notevole e diverse squadre lo vogliono anche solo per riempire gli stadi e attirare pubblico. Dopo qualche stagione di pellegrinaggio su di lui punta il Los Angeles Aztecs, squadra della vecchia NASL che gli offre tutto ciò che ha sempre sognato: una vita discreta nel quartiere VIP della città e un campionato in cui lui è una delle maggiori star. Le spiagge della California, purtroppo, non fanno altro che alimentare ancora le sue debolezze. Best dichiarerà, esagerando, che negli anni a Los Angeles non è mai arrivato da casa sua alla spiaggia di fronte perché a metà strada fra le due c’era un bar dove si fermava sempre a bere.

Nonostante ciò il suo fisico ancora regge e riesce comunque a fare la differenza in mezzo al campo, segnando tanto e trascinando gli Aztecs. Decide poi di trasferirsi prima a Fort Lauderdale e poi a San José, rimanendo sempre nel campionato americano. Nel mezzo prova anche a rifarsi in Inghilterra, ma con scarsi risultati.

I suoi problemi personali iniziano a farsi notare dall’inizio degli anni ’80: Best è quasi sempre ubriaco, non si allena, gioca pochissimo e non è raro vederlo scappare dalla polizia. Le sue avventure notturne fanno scalpore e ormai sono pochissimi i club che puntano su di lui. Dopo un paio di stagioni in squadre minori del campionato inglese chiude la sua carriera in Australia, ai Brisbane Lions, nel 1984. Giocherà poi qualche altra partita amichevole nella sua Irlanda del Nord, ma senza risultati.

Il ritiro, le crisi e la morte

Da qui in poi la storia si stacca quasi completamente dal mondo del calcio. Best viene colpito da una serie di lutti e continua a rifugiarsi nell’alcol e nel gioco d’azzardo. Beve quotidianamente in quantità spropositate e sperpera tutti i suoi soldi in scommesse, serate e donne. Per cercare di arrotondare accetta di partecipare a qualche talk show ma le sue condizioni di salute continuano a peggiorare sempre di più. Alla fine le luci dei riflettori si allontanano da lui e lo lasciano solo coi suoi demoni, incapace di lasciarli andare.

La sua vecchiaia la passa prevalentemente solo in clinica o in ospedale, dove accetta di farsi ricoverare per guarire. I medici le provano tutte, addirittura gli impiantano nello stomaco delle buste di Naltrexone che al contatto con l’alcol gli causano forti crampi. Niente da fare, neanche questo basta per tenerlo lontano dalla bottiglia. Nel 2002 si sottopone ad un trapianto di fegato e le sue condizioni sembrano stabili, ma nel 2005 si aggrava di nuovo e viene ricoverato a Londra. Qui, in un barlume di lucidità, si fa fotografare sul letto d’ospedale da un giornalista: il giorno dopo appare sulla prima pagina del News Of The World l’immagine di un Best prossimo alla sua fine, pallido e sottopeso, accompagnato dalla scritta “Non morite come me“.

George Best muore il 25 novembre del 2005 a Londra. Al suo funerale partecipano tantissime figure importanti dello sport inglese. Qualche anno dopo, gli verrà intitolato l’aeroporto cittadino della sua Belfast. Al di là del giudizio umano, Best è stata una rockstar nel mondo del calcio, il primo ad aver incarnato l’ideale di bello e dannato. Il suo talento sembrava non avere limiti, e invece l’unico difensore in grado di fermarlo è stata la sua stessa fragilità.

 

Best

George Best (@Shutterstock)

 

Un ragazzo che a 22 anni aveva conquistato il mondo e che poi è sceso da quel piedistallo divino per rivelare al mondo che alla fine era umano pure lui. Di lui rimarranno celebri molte frasi, ma sicuramente quella che lo identifica meglio l’ha detta al cameriere che gli portava una bottiglia di Dom Perignon mentre era in camera con l’ennesima Miss Mondo: “Nella mia vita ho speso tantissimi soldi per macchine, alcol e donne. Il resto l’ho sperperato“.

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