di Francesco Ferri
Durante il sesso ogni essere umano condivide un DNA batterico con il proprio partner sessuale. Partendo da questo presupposto Focus ci illustra come si potrebbe individuare uno stupratore grazie al materiale genetico rilasciato durante la violenza. Si tratta di un innovativo metodo scientifico che potrebbe essere fondamentale per individuare con maggior precisione il colpevole di uno stupro, riuscendo altresì ad escludere un possibile sospettato innocente.
Lo studio
Lo studio si basa sulla ricerca nel corpo della vittima di stupro di quello che è stato denominato “sexome”. Quest’ultimo è il DNA batterico degli organi sessuali. Per poter giungere ad una conclusione gli scienziati hanno raccolto dei campioni biologici dalla pelle della vagina e del pene di sei coppie eterosessuali, di età compresa fra 22 e 30 anni, in seguito a dei rapporti sessuali. Sequenziando il gemnoma batterico è stato possibile dimostrare lo scambio avvenuto del sexome, le cui tracce erano molto più evidenti nelle coppie che non avevano utilizzato protezioni. “La composizione batterica di ogni persona è probabilmente abbastanza diversa da poter identificare con chiarezza a chi appartiene il sexome analizzato“. Ha spiegato Ruby Dixon, coordinatrice dello studio completo che è stato pubblicato su Forensic Science International.
Un supporto nelle indagini
Quando le forze dell’ordine si trovano a dover indagare sui crimini sessuali ogni scenario appare particolarmente complesso. Inoltre quando non vi è liquido seminale perché non c’è stata eiaculazione, oppure è stato usato il preservativo, la situazione si aggrava ulteriormente. Questo metodo, quindi, consente un approccio totalmente inedito. Dixon ha voluto sottolineare: “Il metodo di raccolta dei campioni biologici non cambierà, e questo è importante perché non causeremo ulteriori traumi alle vittime di stupro“. Senza dubbio si tratta di una procedura che fa compiere un grande passo avanti nelle indagini di violenza sessuale. “Dovremo osservare in che modo le comunità di batteri mutano nel tempo, in risposta al ciclo mestruale, all’igiene e probabilmente ad altri fattori che ancora non conosciamo“. Ha spiegato invece Brendan Chapman, un altro dei ricercatori, concludendo “Abbiamo appena grattato la superficie di una nuova tecnica che potrà forse aiutare nell’attività forense“.
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