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Stray, la nuova fatica di Annapurna Interactive: la recensione

di Erik Veronese

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Guarda quante perle tra questi rifiuti! Doni del cielo. O di qualsiasi altro luogo, ecco“, così esordisce uno dei tanti robot presenti nel gioco quando interagiamo con lui. Descrivere Stray non è semplice, ma forse questa frase racchiude l’essenza della nuova fatica di Annapurna Interactive. Il videogioco sviluppato da BlueTwelve Studio vuole essere una piccola perla, intenta a ritagliarsi un minuscolo spazio nella vetrina di un gioielliere, caratterizzata da sfavillanti pietre preziose e ninnoli di pregevolissima fattura.

Quando il titolo è stato presentato ha inevitabilmente catturato l’attenzione del pubblico, colpito dal contesto in cui è stato catapultato l’insolito protagonista. Giocare nei panni di un gatto, infatti, è già di per sé inusuale e interpretare un felino all’interno di un mondo cyberpunk suscita indubbiamente curiosità. Lontano per certi aspetti dall’immaginario sci-fi comune e stereotipato, Stray è un viaggio intimo e affascinante, ricco di ambienti suggestivi e profondamente ispirati. Un’avventura che corre parallelamente alla letteratura cyberpunk, pescandone le atmosfere e i colori, ma rigettandone l’estrema violenza.

Quello che traspare in Stray è la voglia tipica di Annapurna di raccontare una storia, prescindendo dalle richieste di mercato. Il viaggio dell’adorabile gattino, nella scena videoludica odierna, risulta anacronistico e distante dai canoni accettati e apprezzati dalla massa di videogiocatori. A tratti enigmatica, la produzione di BlueTwelve Studio ci porta a voler sapere di più, a esplorare l’affascinante ambientazione e a interagire con i personaggi che ci si pareranno davanti durante il cammino.

Direzione artistica, level design e curiosità felina

Uno dei muri portanti di Stray è sicuramente la conduzione artistica del titolo. La software house francese, infatti, ha fatto dell’ambientazione il fiore all’occhiello di tutta la produzione. Variegato e ben caratterizzato, il mondo in cui il nostro micetto si ritrova a vivere è sensazionale. Un mondo in cui la natura si impone per buona parte sull’azione dell’uomo, dando vita a piccole paludi e a paesaggi in cui i rampicanti sono i principali protagonisti. Non aspettatevi, però, un universo alla Horizon Zero Dawn. In Stray, infatti, gli scorci appena descritti si alternano a scenari fortemente industrializzati e decadenti, ricchi di insegne al neon e sporcizia. Le città nel prodotto confezionato da BlueTwelve Studio e Annapurna Interactive non sono altro che cornici straordinarie che incasellano un quadro ben riuscito. Le arie cyberpunk che si respirano sono deliziose e suggestive, realizzate ad arte per l’esperienza che andremo a vivere.

 

stray top 6

 

Al binomio creato dal contrasto tra i colori scintillanti delle luci al neon e il buio dovuto dall’assenza di luce solare, si aggiunge anche la combinazione città-level design. Seppur piuttosto semplice e a volte un po’ dispersivo, il level design è ben pensato e si lega efficacemente con le movenze e i tipici atteggiamenti del gatto. Agili salti e corse sul trespolo sono fidi compagni del nostro micio, che si ritroverà lungo tutto il corso dell’avventura a saltellare qua e là con l’obiettivo di raggiungere un tetto o una sporgenza. Sotto il punto di vista grafico il delizioso micetto è semplicemente straordinario, considerando il budget del team.

Le movenze sono leggere e credibili, anche nei momenti più concitati del gioco risultano sempre essere realistici e quasi mai legnosi. Riportando l’attenzione sullo sviluppo dei livelli, possiamo percorrere diverse strade per arrivare a destinazione; tuttavia, la decisione che prenderemo sul sentiero da seguire sarà quasi sempre ininfluente.

Un altro punto fondamentale e grande pregio di Stray, è la curiosità che il titolo suscita nel giocatore. Spessissimo, infatti, ci troveremo pervasi dalla curiosità di esplorare e di trovare i collezionabili disseminati in giro per la mappa. A far scaturire ciò nel giocatore sono indubbiamente la narrazione e la trama del titolo, ma soprattutto la duplice natura dello stesso. Il gioco, infatti, alterna fasi molto lineari a livelli più aperti che portano il giocatore a voler rifiatare e a esplorare l’area in cui si trova.

Trama e narrazione

La nostra avventura in compagnia del randagio inizia in compagnia di altri gatti, legati dalla libertà e uniti sotto lo stesso, pericolante, tetto. Ben presto, però, ci ritroveremo soli, feriti e spaventati nelle fogne, cercando un modo per ricongiungerci con i nostri compagni di dormite. Le cose tuttavia non vanno come sperato e il gattino farà la conoscenza di un piccolo drone, B-12. Il piccolo robot volante, privo di memoria, ha lo scopo di recuperare i ricordi perduti e di raggiungere il cosiddetto Oltre, un luogo naturale visto da molti androidi come un’utopia. Inizia così un viaggio all’insegna di un’improbabile amicizia volto al raggiungimento dell’Oltre. Nonostante non risulti particolarmente complessa, né ispirata, la trama su cui poggia Stray è solida e scorre piacevolmente. Priva di artifici, la storia costruita dal team di sviluppo non vuole risultare rivoluzionaria, ma un’intrigante spinta per il videogiocatore.

Particolarmente apprezzabile è la narrazione. Questa, inizialmente sussurrata, si articola in interessanti, seppur semplici, linee di dialogo. Parlare, o miagolare in questo caso, con ogni robot che abita la città è fonte di affascinanti scoperte sul luogo, sul suo passato e sui suoi abitanti. Raccogliere informazioni può essere importante per la progressione all’interno del gioco e molto interessante per capire alcune situazioni e dinamiche in cui incapperemo. Con l’avanzare dell’avventura a giocare un ruolo fondamentale saranno i ricordi di B-12, presentati sotto forma di collezionabili. La campagna è abbastanza breve, circa 5-6 ore di gioco; una durata comunque adatta alla natura del titolo.

Il vero punto debole di Stray: il gameplay

È risaputo che l’aspetto più curato nelle produzioni Annapurna Interactive è la scrittura della trama, tuttavia un buon gameplay è fondamentale ai fini del titolo. Un gioco ben scritto ma privo di un gameplay ben congeniato risulta piuttosto pesante da terminare. In Stray questo aspetto è sicuramente pensato a doc per l’esperienza, tuttavia risulta essere l’aspetto più carente. All’interno del gioco ci ritroveremo per la maggior parte del tempo a risolvere enigmi, a saltare sui tetti in eternit delle case e a scappare dagli Zurk, una specie organica pericolosa per il pover micio e per i robot. Un interessante elemento di gameplay è il sopracitato B-12, che in più occasioni sarà fondamentale.

 

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Ci teniamo a sottolineare che la parte puramente ludica in Stray funziona e non ha gravi o invalidanti problemi, tuttavia non è priva di difetti. Per buona parte del gioco infatti ci ritroveremo a compiere le stesse azioni ancora e ancora, risolvendo enigmi estremamente facili e mai davvero stimolanti. Le placide acque del gioco, ad un certo punto della trama, si agiteranno leggermente con sezioni stealth e un accenno a una meccanica di shooting. Al netto di questi piccoli difetti, Stray risulta comunque un’esperienza godibile e ben pensata anche sotto questo aspetto.

Stray: considerazioni finali

Stray è sicuramente una perla del mercato videoludico indipendente che, tuttavia, rimane lievemente opaca senza mai riuscire a splendere pienamente. I ragazzi di Annapurna Interactive si confermano ancora una volta degli amanti del videogioco, portando una ventata d’aria fresca in un settore che, ultimamente, non vuole prendere rischi. Il publisher americano, invece, non ha paura di alzare l’asticella e lo ha dimostrato dedicando un videogioco ad un gatto. Vi ricordiamo che Stray è disponibile su PlayStation Plus Extra e Premium gratuitamente. Se siete degli amanti del mercato indipendente la nuova fatica di BlueTwelve Studio è imperdibile.

Pro

  • È innovativo;
  • L’ambientazione cyberpunk è ben caratterizzata e si sposa perfettamente con il protagonista;
  • La trama è ben scritta e scorrevole.

Contro

  • Gameplay a tratti monotono;
  • Alcuni enigmi sono eccessivamente semplici.

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