di Alessandro Colepio
Il fallimento della Nazionale contro la Macedonia del Nord ha colpito tutto il calcio italiano. Diverse le correnti di pensiero: c’è chi dà la colpa a Mancini, e chi la dà alla poca cattiveria dei giocatori in campo. Altri hanno invece trovato un problema molto più profondo, che potrebbe danneggiare il nostro sistema calcistico per molti anni a venire, partendo dal basso, fino al campionato di Serie A…
Il problema del Campionato italiano
Mentre gli altri campionati sfornano baby fenomeni che già a 18 anni sembrano pronti a giocare ovunque, in Italia siamo privi di talenti “generazionali”. Davanti ai vari Mbappé, Haaland, Foden, Pedri, Gavi, de Ligt e compagnia, nel panorama italiano non si vedono giocatori così giovani, già ai livelli di quelli elencati.
Donnarumma e Bastoni (23 e 22 anni) sono gli unici talenti di livello internazionale, seguiti da una lista di giovani dalle buone potenzialità, ma che non sono ancora capaci di fare il grande salto, come invece fanno tanti loro coetanei negli altri campionati. Questa situazione è una conseguenza di una generazione non all’altezza, o degli errori di una grande organizzazione? Per tentare di rispondere a questo quesito, diamo un’occhiata ad uno studio emblematico del CIES, l’osservatorio del mondo del calcio, riportato da Sky Sport.
La percentuale degli Under 21 in Serie A e all’estero
Lo studio ha analizzato la percentuale di minuti giocati da calciatori Under 21 nei maggiori campionati del mondo. La Serie A si piazza al 52esimo posto in assoluto, con una percentuale del 3,9%; siamo addirittura i peggiori fra i cinque maggiori campionati europei. La Liga vanta un 4,2%, la Premier League un 4,4%, e la Bundesliga arriva addirittura al 7,1%. Meglio dei tedeschi ha fatto solo la Ligue 1, con un 9,1%. Menzioni onorevoli invece per la Liga Nos portoghese (6,3%) e l’Eredivisie olandese (10.9%).
Anche dando un’occhiata alle statistiche delle seconde divisioni, il risultato non cambia. La Serie B alza leggermente l’asticella (4,9%), ma è ancora troppo poco per arrivare a competere con la Segunda Division spagnola (6,1%) o la Championship inglese, che schiera gli Under 21 per l’8,1% dei minuti totali. A guidare questa classifica però, c’è il campionato venezuelano, con una percentuale piuttosto importante: 18,8%. La medaglia d’argento va alla Danimarca, primo paese europeo per l’uso di giovani, con una percentuale del 16,5%.
Una mentalità “che va sul sicuro”
Anche da questi dati possono essere tratti degli spunti di riflessione importanti. Se è vero che attualmente in Italia non ci sono calciatori giovani e pronti per mettersi in mostra in un top club, è anche vero che la nostra mentalità preferisce puntare su giocatori di esperienza piuttosto che su giovani scommesse.
Nonostante ci siano stati dei tentativi di rivoluzione (vedasi Atalanta e Sassuolo), i giovani italiani sono snobbati dai top club, a favore di giocatori stranieri, che spesso sono già pronti per le partite che contano. Così, i talenti nostrani vengono mandati a crescere in squadre medio-piccole, che invece di puntare su di loro, si affidano a calciatori ormai di età avanzata, stroncando sul nascere le carriere di tanti possibili astri del nostro calcio.
La verità, probabilmente, sta nel mezzo: se è vero che attualmente in Italia non abbiamo calciatori giovani già pronti ai grandi palcoscenici, è anche vero che il nostro sistema in primis ne osteggia la crescita, e che se le cose non dovessero cambiare, la Nazionale potrebbe non riuscire ad avere un corretto ricambio generazionale.
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di Alessandro Colepio
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