di Marco Porreca
Michael Owen, ex leggenda del Liverpool, ha rilasciato recentemente un’intervista al canale sportivo inglese BT Sport in cui ha raccontato il suo complicato, complicatissimo rapporto con gli infortuni subiti durante la sua carriera. Ecco le sue parole.
La sua carriera in breve
Owen ha giocato principalmente al Liverpool. Ha giocato nei Reds sin dall’età di 11 anni, nel 1990, rimanendoci fino al trasferimento direzione Madrid nel 2004. A Liverpool ha vinto una Community Shield, una FA Cup, due Coppa di lega inglese, una Coppa Uefa, una Supercoppa Europea e soprattutto un Pallone d’Oro alla giovane età di 22 anni e 17 giorni, il secondo vincitore più giovane della storia. In brevissimo tempo, Owen si affermò come uno dei giocatori più promettenti in Europa.
Però, purtroppo per lui, dopo il trasferimento al Real Madrid all’età di venticinque anni, la sua carriera prese una parabola discendente. Infatti nel Real non trovò molto spazio e fu costretto a tornare in Inghilterra, al Newcastle United. Anche con i Magpies è tutto tranne che fortunato: nei quattro anni in bianconero segna appena 26 gol, e dopo essersi svincolato passa al Manchester United, acerrimo rivale del Liverpool. Resta ai Red Devils per tre stagioni senza mai imporsi realmente come titolare e collezionando, soprattutto a causa degli infortuni, appena 8 gol in 31 partite. Conclude la sua carriera con lo Stoke City nel 2012-2013, giocando pochissimo e segnando un solo gol.
Il brutto “rapporto” con gli infortuni
Nell’intervista ha rivelato di come gli infortuni lo abbiano fatto soffrire molto:
“Quando mi sono fatto male per la prima volta gli adduttori, sono finito. Davvero. Ho cambiato il mio modo di giocare, non ero più quello che segnava gol come quello all’Argentina. Saltavo gli avversari, scattavo negli spazi, crossavo. Quello ero io. Ma negli ultimi sei o sette anni della mia carriera mi sono trasformato in quello che riuscivo a essere. Ero terrorizzato dalla possibilità di scattare quando avevo spazio. Sapevo che mi sarei strappato l’adduttore, la cosa peggiore, però, è che il mio istinto mi diceva di fare come sempre. Sono nato per essere un calciatore. E invece mi ricordo che quando McManaman prendeva il pallone e poteva lanciarmi in profondità pensavo ‘no, non puoi farlo, ti prego, passala corta”.
La voglia di ritirarsi
Inoltre, ha rivelato come non vedesse l’ora di ritirarsi:
“Ho perso tutto. E per quei sei o sette anni ho odiato il calcio. Non vedevo l’ora di ritirarmi, perché quello che andava in campo non ero io. E la cosa peggiore è che poi sono entrato in uno stato d’animo in cui non mi mettevo neanche nella posizione di scattare. E quindi mi nascondevo, mi mettevo in zone del campo dove non sarei neanche dovuto essere“
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Di Marco Porreca
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