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Linee di Nazca: l’affascinante mistero dei geoglifi più famosi del mondo

Tempo fa vi abbiamo lasciati con il mistero del Brusio di Taos (qui l’articolo). Lasciando da parte i fastidiosi ronzii dall’origine sconosciuta, la rubrica dei misteri targata NCI si concentra su delle imponenti raffigurazioni, note in tutto il mondo come linee di Nazca. Come vedremo nei prossimi paragrafi, si tratta di geoglifi che rappresentano soprattutto flora e fauna, tuttavia sono ancora sconosciute le ragioni dietro la realizzazione di queste linee. Partiamo quindi da quegli elementi su cui abbiamo una qualche certezza…

Linee di Nazca: genesi e realizzazione

Le linee sono ubicate nel deserto di Nazca, in Perù. Si tratta di una regione geografica di circa 450 chilometri quadrati, situata tra la città di Nazca e Palpa. L’altopiano è tappezzato da circa 800 disegni, alcuni dei quali raggiungono anche i 300 metri di lunghezza. Il nome del deserto riprende quello dell’antica civiltà Nazca, sviluppatasi a partire dal I secolo d.C. fino al VI secolo. Le rappresentazioni risalgono indicativamente a questo periodo, sebbene alcuni riportino una datazione antecedente, al 500-300 a.C., quindi frutto del lavoro di civiltà precedenti. Purtroppo, identificare delle date più precise non è un compito semplice, data la difficoltà ad applicare il Carbonio 14.

 

Immagine satellitare presa da Google Maps. I geoglifi più grandi e famosi sono situati tra Nazca e Palpa. Andando su Maps, è possibile, mediante uno zoom, vedere alcuni di questi geoglifi, sebbene a bassa risoluzione. Uno di questi, la Lagartija (lucertola), è unico nel suo genere, in quanto tagliato in due dall’autostrada Panamericana, che dall’Alaska va fino all’Argentina.

 

La realizzazione pratica di queste linee prevede lo sfruttamento delle caratteristiche morfologiche del deserto in questione, di natura prevalentemente rocciosa. Spostare le pietre scure, composte da ossidi di ferro, permette di originare delle forme grazie al contrasto con i massi più chiari. In ogni caso, è senz’altro indubbio che il lavoro tecnico a monte richiedesse dei complessi calcoli geometrici, dato che le proporzioni, a partire da piccoli modellini in ceramica delle forme, sono pressoché perfette; tuttavia la simmetria è più imprecisa. Le menti dietro i geoglifi erano sicuramente di ingegneri e tecnici dell’epoca, i quali utilizzavano dei reticolati di corde per ingrandire dei disegni più piccoli in scala.

Il mantenimento dei geoglifi e l’ipotesi “mongolfiera”

Una domanda che potrebbe sorgere concerne il mantenimento di queste opere: come hanno fatto, in più di mille anni, a non essere scomparse? Da questo punto di vista il clima ha giocato un ruolo determinante, in quanto il deserto di Nazca è estremamente secco, arido e il vento non scorre con particolare tenacia. Siamo più noi uomini contemporanei, probabilmente, a deteriorare le linee, a causa del costante afflusso di turisti e di camion nella zona, i quali talvolta passano sopra le opere.

 

Immagine presa da Pixabay. Il geoglifo in questione è quello del colibrì, uno dei più grandi e famosi. Potrebbe rappresentare un’invocazione agli dei per propiziare la pioggia.

 

Da terra, allo stesso livello delle linee, non è sempre così immediato visualizzarle, tant’è che un gruppo di ricercatori ipotizzò che i Nazca conoscessero già le mongolfiere. Per questo motivo, utilizzando del materiale che questo popolo sicuramente conosceva, negli anni ’70 dei ricercatori sono riusciti con successo a volare su un pallone aerostatico. Per quanto però questa tesi possa anche essere vera, è assai più probabile che gli ingegneri dell’epoca sfruttassero i rilievi collinari per contemplare dall’alto la genesi di questo tesoro archeologico.

 

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Lorenzo Peratoner

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