Quando si parla delle linee di Nazca, non si può non citare il nome di una donna in particolare: Maria Reiche. Matematica e archeologa tedesca, lasciò la sua terra natale negli anni ’30 per trasferirsi in Perù, dove lavorò in un museo. Tuttavia, non appena venne a sapere dell’esistenza delle linee, consacrò la sua intera vita a esse. Il suo lavoro di documentazione, pulizia, conservazione e divulgazione ha permesso a queste opere di raggiungere un prestigio internazionale, tali da ricevere, nel 1994, il titolo di bene patrimonio dell’UNESCO.
Maria Reiche, nei decenni che dedicò a questi studi archeologici, condusse una vita da eremita in una piccola casa di legno a ridosso del deserto e sfruttando l’acqua di un fiume. Nel suo indefesso e solerte impegno durato cinquant’anni spese tutti i soldi che aveva, ricavati dai diritti d’autore di alcuni libri che aveva pubblicato, per proteggere questo tesoro artistico, minacciato dai mezzi e dai turisti. Morì a 96 anni, nel 1998, convinta che i geoglifi fossero una sorta di calendario astronomico, tesi difesa anche da altri studiosi.
Al giorno d’oggi, tuttavia, si propende per un’altra ipotesi. La tesi astronomica, infatti, non trova riscontri con le analisi condotte dall’astrofisico Gerald Hawkins, che non trovò dei legami con eventi astronomici per la maggioranza delle linee. Pertanto, la tesi oggi dominante è quella religiosa, secondo cui i geoglifi siano collegati ai culti dell’acqua e della fertilità in una forma di invocazione degli dei. La dimensione imponente dei geoglifi potrebbe essere dovuta al fatto che le divinità, dal cielo, potessero osservarli.
Lo scrittore Erich von Däniken ipotizzò, sulla base di autori precedenti, che le linee fossero invece dei punti di atterraggio per astronavi aliene. In questo modo si presuppone un contatto fra il popolo Nazca e quello extraterrestre. Si tratta di una tesi tuttavia priva di fonti concrete, e basterebbe prendere in considerazione il territorio per smontarla: il deserto di Nazca è composto da molti rilievi e colline il cui suolo non renderebbe adatto e sicuro l’atterraggio di nessun velivolo.
La tesi astronomica e quella religiosa sono quelle più famose e più in voga, tuttavia ne esistono anche molte altre. Non è del tutto da escludere, inoltre, che queste due possano rivelarsi entrambe vere, in quanto i geoglifi avrebbero potuto ricoprire molteplici scopi. In ogni caso, questa testimonianza di una civiltà vissuta migliaia di anni fa è tra le più affascinanti del mondo antico, tanto da non passare inosservata neanche ai conquistadores spagnoli. Il cronista Pedro Cieza de León fu infatti il primo a segnalare la presenza di queste figure a metà del XVI secolo, sebbene i primi seri lavori di ricerca si ebbero solo nel XX secolo, grazie all’utilizzo degli aerei.
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