fbpx Effetti Speciali: 5 film per raccontarne l'evoluzione
Cinema & Serie TV

Effetti Speciali: 5 film per raccontarne l’evoluzione

di Redazione NCI

Condividi con chi vuoi

Una buona fetta del cinema moderno basa il suo successo sull’incredibile qualità degli effetti speciali. Ad aumentare però non è stata solo la qualità visiva, ma anche la nostra ricerca minuziosa di particolari e dettagli. Ne è passato di tempo dalla proiezione dei fratelli Lumiere nella quale gli spettatori fuggirono alla vista di una locomotiva. Ma com’è cambiato il cinema in tutti questi anni? Ecco 5 film per ripercorrerne la storia.

L’antenato di tutti gli effetti speciali

La nostra storia inizia nel 1925. In questo anno esce al cinema Il mondo perduto, un film rivoluzionario basato sull’omonimo romanzo di Arthur Conan Doyle ambientato in un’isola abitata da mostruosi dinosauri. La pellicola è ricordata però per aver introdotto definitivamente la Stop-Motion ad Hollywood.

Questa tecnica fotografica è composta da tre fasi, che si susseguono in maniera continua:
– Si posiziona il pupazzo;
– Si scatta una foto;
– Il pupazzo viene leggermente spostato per dare l’idea di movimento.

Montando insieme le singole immagini sulla pellicola si ottiene un filmato più o meno realistico, permettendo di abbattere molti limiti tecnici causati dall’epoca.

Sussiste però una grande problema, rappresentato dall’incredibile quantità di tempo necessaria a portare in scena persino una manciata di minuti. Dato che in generale si utilizzano 24-30 fotogrammi per ottenere 1 secondo di pellicola, per realizzare un filmato da 1 minuto occorrono circa 1400-1800 fotografie. Un numero impressionante considerando che tra uno scatto e l’altro spesso intercorrono ore intere. Ciononostante, per mancanza di alternative, la stop-motion resisterà all’usura del tempo per oltre 70 anni. 

Effetti Speciali

Un topo, una tata e un inventore

Il secondo passo, fondamentale, verso gli effetti speciali utilizzati ancora oggi avviene nel 1964. La Disney commissiona all’ingegnere greco Petro Vlahos una macchina in grado di migliorare l’efficienza del blue screen, utilizzato già da anni ma tutt’altro che funzionale e anzi molto limitato, per permettere la realizzazione di Mary Poppins.

Vlahos progetta allora una cinepresa particolare, che mediante una reazione fisica riesce a dividere gli attori dallo sfondo, totalmente bianco ma illuminato da luci al vapore di sodio. L’apparecchio imprime sulla pellicola ogni colore, ad esclusione della precisa tonalità prodotta dalle lampade. Queste colorano il background ed evitano così che esso venga individuato, con una precisione tale da permettere di isolare perfino i capelli degli attori.

Nonostante il processo risultasse rivoluzionario, Hollywood preferì investire nel Blue Screen, più economico e facile da realizzare. Merito anche dei Walt Disney Studios, proprietari dell’unica cinepresa mai realizzata, noleggiata a cifre folli. Resta comunque una delle più notevoli invenzioni dell’epoca, specialmente considerando l’incredibile differenza qualitativa con ciò che veniva ottenuto utilizzando altri metodi simili.

Uno squalo problematico

Un altro importantissimo tassello è formato da una delle opere più importanti di Steven Spielberg, Lo Squalo, che nel 1975 implementò l’utilizzo dei grandi animatronics al cinema. Il primo pupazzo mosso in maniera “autonoma” comparve infatti su schermo nel film Mary Poppins, quasi 10 anni prima, ma l’utilizzo venne osteggiato per le difficoltà tecniche nella costruzione dei modelli.

Anche Spielberg fu costretto ad affrontare questi problemi. Nonostante la costruzione di ben 3 squali in totale, i problemi furono infiniti. Ad esempio l’acqua salata corrodeva le giunture, rendendo difficile girare più di una scena al giorno. Le complicazioni causarono l’allungamento delle riprese da 60 a 160 giorni, ma grazie al successo tutte le critiche passarono in secondo piano. 

Effetti Speciali

Un modello semi-autonomo permette di velocizzare le riprese (a patto che funzioni) ed evita il fastidioso effetto di finzione dato dalla stop-motion, che fa apparire le scene come scattose e innaturali. La costruzione richiede però grandi quantità di denaro e un progetto accurato per impedire malfunzionamenti, che non impediscono comunque un senso di finzione come per la Cosa, i cui movimenti appaiono molto statici.

Nel parco degli effetti speciali

A sancire la fine dell’era stop-motion in maniera definitiva è nuovamente Steven Spielberg, che incoraggiato dal successo ottenuto da film come Terminator 2 decise di adottare per il suo capolavoro Jurassic Park un nuovo metodo di animazione, definito CGI, acronimo di Computer Generated Imagery. Affidandosi ai sapienti collaboratori dell’ILM di George Lucas riuscì ad ottenere un risultato ancora oggi realistico, che all’epoca permise alla pellicola di divenire campione di incassi.

Per costruire un modello 3D funzionante e dotato di naturalezza è richiesto un lungo e arduo processo
– Innanzitutto gli attori recitano simulandone la presenza sul set;
– Un team specializzato cura nei minimi dettagli il corpo, costruendo uno scheletro e un sistema muscolare;
– Si anima frame per frame l’oggetto;
– Viene inserito quanto ottenuto sulla pellicola unendolo con il girato;
– Si inseriscono luci, ombre e altri effetti per dare una sensazione di realismo;

Con il progredire della tecnologia poi il livello di animazione non ha fatto altro che alzarsi, diminuendo però drasticamente il numero di persone qualificate. Di fatto questa innovazione ha reso l’immaginazione l’unico limite che i registi debbano porsi, specialmente in grandi produzioni dove il denaro abbonda.

Stregoni e Alieni insieme per il progresso

Per concludere il percorso dobbiamo giungere quasi ai giorni nostri, almeno a metà. Perché l’ultimo passo da compiere avvenne non in maniera repentina, ma grazie a due pellicole molto diverse tra loro, ad opera di due visionari registi: il secondo capitolo de Il signore degli anelli e Avatar. Lontane sulla carta, ma vicine nell’arduo compito di rivoluzionare il mondo degli effetti speciali

A lanciarsi per primo nell’impresa ci pensò Peter Jackson per dare vita a Gollum, per realizzare il quale si decise di utilizzare la Motion Capture. Questa è composta da un complesso sistema di telecamere, in grado di rilevare dei marcatori applicati ad una tuta. Quando indossata da un attore permette di tracciarne i movimenti, da utilizzare successivamente per animare modelli 3D.

Effetti Speciali

James Cameron decise che Avatar avrebbe dovuto risultare ancora migliore, e per questo motivo produsse il primo Virtual Camera System, un complesso sistema di rilevatori che permette al regista di vedere in tempo reale ciò che accade all’interno del film, anche se davanti alla cinepresa vi sono due attori in uno studio di posa coperti di marcatori. È così possibile inserire movimenti di macchina, cambi di inquadratura, seppur senza riprendere nulla “dal vivo”.

Dopo l’uscita di Avatar nuove porte si sono aperte per la produzione cinematografica. Avengers: Endgame è solo l’ultimo esempio di come le innovazioni negli effetti speciali e visivi siano tangibili e concrete. L’ultima frontiera è rappresentata dal Video Wall, utilizzato ad esempio in The Mandalorian, formato da una parete a 360° di schermi ad altissima risoluzione che in tempo reale mostrano l’ambiente in cui ci si muove.

Nell’attesa di scoprire le ultime novità in fatto di cinema, restate connessi su NCS.

di Nicolò Bacchi

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Condividi con chi vuoi