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“Beau ha paura”, la recensione: un’odissea nella mente umana

di Alice Casati

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Risponde al nome di “Beau ha paura” il terzo, grande progetto del regista statunitense Ari Aster, mente visionaria e controversa dietro gli horror “Hereditary” e “Midsommar“. La singolarità dei primi due lavori ha diviso il pubblico fin da subito, distinguendo il regista per i suoi evidenti tratti caratteristici. Con il terzo film, Aster riprende il filone dell’horror grottesco e psicologico, enfatizzandone la vena umoristica e paradossale. Nonostante la sceneggiatura sia addirittura antecedente alle prime due pellicole, il regista ha scelto di approcciarsi a questa produzione dopo essersi affermato maggiormente, consolidando la propria identità e i propri capisaldi. La complessità di “Beau ha paura“, d’altronde, offre una prova evidente dell’acutezza di questa decisione.

Prodotto da A24 e distribuito in Italia da I Wonder Pictures, per la fotografia di Paweł Pogorzelski, il film vede protagonista il premio Oscar Joaquin Phoenix. Accanto a lui recitano Patti LuPone, Amy Ryan, Nathan Lane, Kylie Rogers, Denis Ménochet, Parker Posey, Zoe Lister-Jones, Armen Nahapetian, Julia Antonelli, Stephen McKinley Henderson, Richard Kind e Hayley Squires. Regia, sceneggiatura e produzione sono invece di Ari Aster: cosa è riuscito a portare al pubblico con il suo terzo lavoro?

L’odissea di Beau tra la psiche e il mondo

Beau Wassermann è un uomo di circa 50 anni che vive da solo in un appartamento fatiscente e soffre di paranoia, in particolare ipocondria e agorafobia. È terrorizzato dalla città in cui vive, compromessa dalla violenza e dal caos, che lo spinge ulteriormente ad evitare il più possibile contatti umani. La sua vita viene però sconvolta dall’improvvisa notizia della morte della madre Mona, con cui ha sempre avuto un rapporto molto singolare. L’avvenimento segnerà l’inizio del lungo viaggio di Beau per tornare a casa, una vera e propria odissea nella quale si troverà ad avere a che fare con i personaggi e i contesti più disparati, nonché con tutte le sue paure. Da un’apparentemente allegra e gentile coppia a una misteriosa compagnia teatrale, dalla periferia cittadina alla foresta, il cammino ripercorrerà tutta la vita di Beau fino alla sua infanzia, verso la quale sta finalmente tornando.

Nei quattro capitoli che compongono “Beau ha paura” il tempo è completamente bergsoniano, psicologico e personale. È impossibile intravedere una sequenza temporale lineare, in quanto lo spettatore vive il susseguirsi degli eventi come il protagonista. In questo modo i flashback si snodano attraverso gli eventi del presente, legandosi indissolubilmente ad essi in una continua danza spazio-temporale.

Beau Is Afraid

La complessa singolarità di “Beau ha paura”

Il ritorno di Ari Aster al cinema avviene con un film dal forte valore psicologico ed emotivo. La personalità del regista ne pervade l’intera durata, riprendendo anche in parte i suoi primi due lavori. I risvolti di trama e lo sconcerto dell’atto finale di Hereditary incontrano la profonda psicologia del personaggio protagonista di Midsommar, in un film che supera entrambi per complessità e carattere. È evidente come l’intenzione fosse quella di realizzare qualcosa di estremamente personale, senza mezzi termini né compromessi. “Beau ha paura” è il pieno raggiungimento della maturità artistica di Ari Aster, la più completa affermazione della propria identità. La sua inclinazione per il grottesco, il paradossale e il kafkiano raggiunge qui la sua massima espressione ed elevazione.

La conseguenza più evidente di tale scelta registica è una marcata scissione tra il pubblico. La singolarità del film lo rende infatti estremamente divisivo, e restarne entusiasti è facile quanto trovarlo repellente. Una sola è la certezza di “Beau ha paura“: non lascerà lo spettatore indifferente e, che sia gradito o meno, trasmetterà sempre qualcosa a chi lo guarda.

Un film estremamente personale

Come già accennato, la particolarità di “Beau ha paura” è dovuta a varie scelte di trama parecchio inconsuete. Il film ha una forte componente simbolica e metaforica, che Aster lascia interpretare interamente allo spettatore. È lui a conferirgli il proprio personale significato, senza mai trovare un riferimento reale e concreto. Ogni spettatore è libero di vivere la propria storia, di provare le proprie emozioni, le proprie paure e la propria angoscia. L’idea del film prende forma sulla base di immagini pregne di significato, ascrivibili a un disegno più grande di quanto mostrato. È sconvolgente l’efficacia con cui la storia di Beau si cuce sullo spettatore scena dopo scena, infondendogli una parte della sua complessa psiche.

Tutta la durata del film è infatti un viaggio nella mente del protagonista, una visione del mondo filtrata attraverso i suoi occhi terrorizzati. Rimane costante il dubbio sulla veridicità di ciò che viene mostrato, se sia reale o frutto della paura del protagonista. È questa ambiguità a lasciare spazio alle ipotesi di chi guarda, consentendogli di riscrivere e concretizzare la vicenda a proprio modo e a vivere una nuova storia ad ogni nuova visione.

beau ha paura

La psicologia di Beau e il rapporto con la madre

Il film effettua un’indagine psicologica approfondita sui personaggi, su tutti il protagonista. Beau vive un rapporto malsano e a tratti edipico con la madre Mona, presentata come narcisista e manipolatrice. A causa della donna e dei traumi subiti durante l’infanzia, finisce per vivere una profonda e costante insicurezza, nonché una necessità di dipendere da altri. Non è in grado di prendere decisioni, non è in grado di far sentire la sua voce né di avere volontà propria. Questo lo porta a giudicarsi ossessivamente in modo negativo, accusandosi di agire in modo sbagliato e di arrecare delusioni alla madre.

Quest’ultima, dal canto suo, soffre dell’idea che il figlio possa smettere di avere bisogno di lei, sebbene sia ormai adulto. Non riesce a evitare di controllare lui, la sua vita e le sue scelte e lo condiziona fortemente anche quando non è presente. Entrambi provano dolore e paura, entrambi soffrono del rapporto con l’altro e entrambi possono essere compresi. Non esiste una risposta univoca su chi dei due abbia “ragione”, in quanto risulterebbe una limitazione dell’introspezione e della psiche dei personaggi.

“Beau ha paura” nel genere nuovo di Ari Aster

L’insieme di tematiche così ampie e varie induce a interrogarsi sul genere di appartenenza di “Beau ha paura“. In effetti, è possibile credere che Ari Aster abbia incasellato i suoi lavori in un nuovo genere, sebbene con radici intrinseche all’horror. Ridurlo a questo, però, sarebbe un errore: il film è una commedia, un horror, un’avventura, un collage di generi così organico da potersi definire una categoria a sé stante, propria del regista. I fattori grotteschi e surreali lo distaccano già in partenza dall’horror più tradizionale, specialmente in rapporto alle pellicole degli ultimi anni, meno sperimentali ed innovative.

A ciò si somma l’onnipresente vena umoristica; le disgrazie della vita di Beau prendono spesso una piega tanto enfatica e paradossale da suscitare ilarità. Aster sfrutta un umorismo quasi pirandelliano, inducendo lo spettatore a trovare il comico nel tragico, il divertimento nell’esagerazione delle vicende. Come nei film precedenti, la tecnica funziona efficacemente e senza eccedere.

beau ha paura

Le formidabili interpretazioni del cast

Uno dei più grandi punti a favore del film è senza dubbio l’interpretazione di Beau da parte di Joaquin Phoenix. Un volto di eccezionale talento era fondamentale per un film che si regge interamente sul suo protagonista. L’attore è stato in grado di interpretare in maniera magistrale un ruolo che gli si confaceva perfettamente, e che, con tutta probabilità, avrebbe stonato facilmente con molti altri interpreti. È inoltre degno di menzione anche il resto del cast, nonostante il minore spazio ricevuto. Su tutti, hanno spiccato Patti LuPone, Amy Ryan, Nathan Lane e Richard Kind, quest’ultimo nonostante l’esiguo minutaggio.

Considerazioni finali

Beau ha paura” è un film estremamente anticonvenzionale, complesso e psicologico. Esprime pienamente il pensiero e la tecnica del regista, che con esso ha ulteriormente affermato la sua identità artistica. La sua peculiarità lo rende un film divisivo, ma indipendentemente dall’apprezzamento ricevuto lascia sempre qualcosa allo spettatore. L’introspezione del protagonista è la base di una pellicola che non offre certezze su quanto mostrato, sollevandosi dal compito di rivelare cosa avvenga realmente e cosa sia filtrato attraverso gli occhi di Beau. Le varie tematiche affrontate lo inseriscono in un genere nuovo, frutto dell’amalgamazione di horror, commedia, grottesco, avventura e molto altro. A coronamento del film troviamo un cast d’eccezione, in cui spicca l’ottima interpretazione del protagonista Joaquin Phoenix.

Pro

  • L’accurata e approfondita indagine psicologica dei personaggi, su tutti il protagonista;
  • La regia di Ari Aster, che affina sempre più la sua particolare tecnica;
  • La magistrale interpretazione di Joaquin Phoenix e del resto del cast;
  • La fotografia di Pawel Pogorzelski, sempre in linea con il clima del film;
  • La resa della costante ambiguità tra realtà e introspezione.

Contro

  • La durata di tre ore potrebbe risultare proibitiva per alcuni, sebbene sempre giustificata dalla trama.

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