di Enrico Tiberio Romano
Nella giornata di oggi il mondo dell’astronomia celebra la ricorrenza di un grande traguardo poco considerato però quando si pensa alle conquiste dello scorso secolo, la prima passeggiata nello spazio senza fili. Se questo scenario vi ricorda più un film di fantascienza o dell’orrore è del tutto normale, ma ormai quarant’anni fa c’è qualcuno che lo ha fatto veramente.
La “passeggiata” nello spazio profondo
Il 7 febbraio 1984, l’astronauta della Nasa Bruce McCandless II, a bordo della decima missione dello Space Shuttle Challenger, grazie al collaudo di un dispositivo ,scrisse un ulteriore passo nella storia dell’esplorazione spaziale. Una sorta di poltrona fluttuante chiamata Manned Maneuvering Unit infatti gli consentì di allontanarsi dalla navetta in maniera indipendente, senza i cavi chiamati “cordoni ombelicali”. Per rendere meglio l’idea, si tratta dello stesso dispositivo utilizzato da George Clooney in Gravity, un simil-zaino a propulsione.
Per allentare la tensione del momento, McCandless fece il verso alle celebri parole di Armstrong quando mise piede sulla luna e disse: “Sarà un piccolo passo per Neil, ma è un passo enorme per me”. Le foto scattate in quella circostanza dal pilota Hoot Gibson sono ancora oggi tra le più iconiche e riconoscibili della storia della ricerca nello spazio e come prevedibile riscossero un immenso successo.
Come spiega ANSA, McCandless, scomparso nel 2017, rimase all’esterno dello shuttle per quasi sei ore, allontanandosi fino a 98 metri. la storia del dispositivo, chiamato anche MMU però fu molto breve. Inizialmente fu progettato per eseguire riparazioni sui satelliti senza spostare la navetta e consumare carburante ma dopo il disastro del Challenger esploso nel 1986 fu mandato in pensione perché giudicato troppo costoso e rischioso.
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