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Venezuela: referendum sull’annessione dell’Essequibo; rischio escalation militare con la Guyana

di Lorenzo Peratoner

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Negli ultimi giorni i media internazionali hanno indirizzato la loro attenzione sul confine tra Venezuela e Guyana, dove un’escalation senza precedenti minaccia di far esplodere la miccia della guerra nella regione del Sud America. Il Presidente venezuelano Nicolás Maduro, infatti, ha annunciato per la giornata di domenica 3 dicembre un referendum consultivo su 5 punti che concernono, tra le altre questioni, il trasferimento della sovranità sulla regione della Guayana Esequiba dalla Guyana al Venezuela.

 

Le origini della disputa tra Venezuela e Guyana

Siamo nel 1811, quando il Venezuela riesce a strappare la tanto anelata indipendenza nazionale emancipandosi dalla madrepatria spagnola; da quel momento, tuttavia, e per oltre due secoli, ha continuato imperterrita a reclamare la regione della Guayana Esequiba, giustificando questa richiesta con il fatto che, quando era ancora una colonia spagnola, il suo territorio comprendeva anche quell’area.

Nel 1899, grazie a un arbitrato internazionale, si sancì che la regione disputata sarebbe rimasta sotto le ali del Regno Unito, che, pertanto, la incorporò nella colonia della Guyana britannica. Questi rancori riemersero tuttavia nel 1966, quando la Guyana ottenne l’indipendenza dalla madrepatria britannica; da allora, la Venezuela non ha mai fatto un passo indietro dalle sue rivendicazioni territoriali. Per avere una panoramica geografica della situazione, qui è possibile vedere una mappa dedicata.

 

La Guayana Esequiba e le riserve petrolifere

La regione della Guayana Esequiba è in larghissima parte un’area boschiva e con un numero abbastanza esiguo di abitanti, nell’ordine delle 120mila persone su un totale di poco meno di 800mila cittadini del Guyana. Ciò nonostante, con i suoi quasi 160mila chilometri quadrati – più della Grecia – occupa circa i due terzi dell’intero territorio nazionale. Quella che sembra, sulla carta, una regione piuttosto infruttuosa, cela in realtà numerose riserve petrolifere, scoperte a partire dal 2015 dalla ExxonMobil, che hanno reso la Guyana protagonista del commercio del petrolio, con le inevitabili conseguenze economiche per il Paese.

Le rinnovate mire nazionaliste del Venezuela degli ultimi anni, sviluppatesi parallelamente alla scoperta dei giacimenti, si fondano pertanto anche su basi strettamente economiche; la classe dirigente del Paese, infatti, potrebbe sfruttare la ricchezza di materie prime per alleviare la disastrosa situazione finanziaria che imperversa da anni nello Stato.

I dettagli del referendum del 3 dicembre

Il referendum del 3 dicembre, tuttavia, non ha di per sé un valore vincolante; si tratta, sulla carta, di una consultazione popolare, il cui fine avrebbe delle conseguenze di peso nella politica interna più che estera. Una vittoria del ““, ritenuta certa, potrebbe infatti consolidare la popolazione sotto la guida del leader socialista, grazie all’appello all’emotività e ai sentimenti nazional-patriottici. I quesiti, dai toni fortemente retorici e che delineano un chiaro “imprinting” sulla risposta ritenuta “giusta” da dare, concernono l’aggiunta di un nuovo stato federato, la Guayana Esequiba, all’interno del Venezuela, così come l’estromissione della Corte internazionale di Giustizia dalla questione dei confini tra i due Paesi.

La reazione della Guyana e della Corte internazionale di Giustizia

La Guyana, dinanzi a queste provocazioni, non si è fermata a guardare, appellandosi proprio alla Corte internazionale di Giustizia, bersaglio della politica di Maduro. Ancora nel 2018, infatti, il Paese aveva richiesto alla Corte di porre fine alla disputa territoriale, tuttavia la decisione definitiva non era ancora stata pronunciata.
Dinanzi all’escalation, la Corte ha comunque intimato al Venezuela di non turbare la pace nella zona, invitandola ad “astenersi dall’intraprendere qualsiasi azione. […] La Corte osserva che la situazione che attualmente prevale nel territorio in questione è che la Guyana amministra ed esercita il controllo su tale area“.

L’obiettivo del congelamento dello status quo, anelato dalla Corte, coincide pertanto con la preservazione degli attuali confini nazionali. Tuttavia, l’indizione del referendum del 3 dicembre non è stata apertamente contestata.

Il Ministro degli Esteri della Guyana, Hugh Todd, ha affermato al Guardian:

“Le persone nella regione di confine sono molto preoccupate. Maduro è un leader dispotico e i leader dispotici sono molto difficili da prevedere. La Corte internazionale di giustizia è la via che porterà alla fine della controversia che il Venezuela ha sulla validità del lodo del 1899. Il nostro Essequibo appartiene al popolo della Guyana. Lo è sempre stato e lo sarà sempre. Le persone che risiedono in quella regione parlano inglese, pagano le tasse al governo della Guyana, rispettano la nostra Costituzione… e si definiscono guyanesi. Quindi non ha nulla a che fare con il Venezuela”.

La paura di un potenziale conflitto serpeggia tra gli abitanti della Guyana, intimoriti dai toni fortemente nazionalisti e bellicosi di Maduro e del suo entourage; il Presidente venezuelano, infatti, sta sfruttando ampiamente i mezzi social, tra cui TikTok, per propagandare anche ai più giovani la sua retorica sciovinista, mostrando delle carte geografiche rivisitate in cui il Venezuela ha già annesso la regione disputata, e continuando ad appellarsi ai “patrioti“.

Guerra tra Venezuela e Guyana: uno scenario possibile?

Secondo Phil Gunson, un analista senior dell’International Crisis Group, la rivendicazione territoriale è, probabilmente, l’unica questione che unisce tutto il popolo venezuelano; per questo motivo si può comprendere la forte enfasi adottata da Maduro, il quale, visti gli ultimi anni di crisi, starebbe sfruttando tutto i mezzi necessari per rilanciare la sua figura in vista delle elezioni del prossimo anno. In casi come questi, purtroppo, non si possono avere delle certezze, tuttavia è ipotizzabile che la retorica del leader socialista sia un semplice strumento di propaganda a fini elettorali, e che l’eventuale escalation militare non sia realmente desiderata.

Nonostante la superiorità militare e demografica, infatti, il Paese al momento non godrebbe di appoggi internazionali di rilievo per la sua causa; l’isolamento diplomatico, pertanto, potrebbe fungere da deterrente. La Guyana, invece, non solo avrebbe dalla sua parte la giustizia internazionale, ma la stessa Comunità dei Caraibi (CARICOM) e l’Organizzazione degli Stati Americani (OAS), che hanno già espresso il loro sostegno. L’eventuale scoppio di un conflitto, inoltre, garantirebbe, con molta probabilità, l’appoggio di buona parte della comunità democratica internazionale.

Fonti: Al Jazeera, The Guardian

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