di Gabriele Nostro

“Stop ai fraintendimenti per omonimia”; con questo obbiettivo il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha chiesto alle Nazioni Unite di cambiare il nome della Turchia in “Türkiye“… Ma cerchiamo di capire meglio questa particolare motivazione.

Türkiye, una questione di “pronuncia”

Turchia e tacchino, per fare un esempio, si traducono in inglese allo stesso modo: “Turkey“. L’assimilazione, poco “carina” per una Nazione, è resa ancora meno gradevole dalla valenza negativa che gli anglosassoni affibbiano al termine; nella terza lingua più parlata al mondo, infatti, la parola predetta viene spesso retoricamente utilizzata per intendere “qualcosa che è gravemente difettoso” o “una persona sciocca”.

Erdogan, oltretutto, ha dichiarato di aver preso questa decisione perché il nuovo termine, “Türkiye“, rappresenterebbe al meglio i “valori”, la “cultura” e la “gente” dell’ex Turchia.

Non più Turchia: cosa cambia con il nuovo nome?

Secondo quanto riportato da “La Stampa“, l’ONU avrebbe accettato la richiesta avanzata, e la registrazione ufficiale del nuovo nome sarebbe stata confermata dall’agenzia Anadolu.

D’ora in avanti tutti i prodotti fabbricati nel Paese saranno etichettati “made in Türkiye“; gli apici statali hanno anche lanciato una campagna pubblicitaria con lo slogan “Hello Türkiye“. L’intenzione è quella di dare il benvenuto alla nuova identità e abituare i cittadini alla diversa assonanza. Come al solito, tra le pagine del web si discute la questione; i funzionari governativi supportano il cambiamento, altri, invece, sostengono che l’operazione sia solo una distrazione, adoperata per non concentrarsi sulle vere occupazioni da affrontare.

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