Il 25 dicembre arriva su Netflix la serie spin-off prequel di “The Witcher”, “The Witcher: Blood Origin”. Lo show è composto da 4 episodi ed avrà una sola stagione. Nel cast troviamo Sophia Brown, Laurence O’Fuarain, Michelle Yeoh, Lenny Henry, Joey Batey che riprende il suo ruolo di Ranuncolo.
Partiamo prima col dare un po’ di contesto. “Blood Origin” è ambientata circa 1200 anni prima della serie originale. Il che ci colloca nel periodo della congiunzione delle sfere e della creazione del primo Witcher. Infatti, sin dal primo episodio ci ritroviamo in un mondo dove gli elfi sono la razza “umanoide” predominante sul pianeta. In questo mondo, oltre agli elfi, sono presenti poi solamente i nani, dato che gli umani arriveranno solo dopo la congiunzione.
Tutto ciò ci viene raccontato nel pilot, dove viene spiegata anche la grande guerra millenaria che i vari clan e città elfiche stanno portando avanti. In questa società, alcuni elfi esercitano la professione del mago. Tra questi, uno in particolare, il capo David Balor, è capace di utilizzare i vari pilastri presenti su tutto il territorio per poter viaggiare tra i mondi. Nonostante questa linea narrativa sia quella che porterà poi al finale della serie, per tutta la durata degli episodi ci si concentrerà su ben altro.
Come anticipato prima, nel mondo di “The Witcher” gli elfi stanno combattendo una lunghissima guerra, che però arriva alla fine in maniera abbastanza cruenta. Il che non va a genio in particolare ad un gruppo di persone, ovvero i nostri protagonisti, che poi intraprenderanno una missione per rimuovere il nuovo Governo formatosi dopo la guerra. Questa linea narrativa, unita a quella dei vari mondi e della magia, si intrecceranno poi per dare forma alla nascita di quello che è il primo Witcher.
Dopo aver chiarito l’idee sul contesto storico, passiamo alla vera recensione della serie. Iniziamo subito col dire che il più grande problema di questo show è la sua durata. Quattro episodi da nemmeno un’ora ciascuno non sono abbastanza per la quantità di variabili messe in campo. Tutto viene trattato, ma niente viene approfondito. La questione dei mondi è lasciata un po’ a sé, così come la congiunzione stessa, che arriva solamente nell’ultimo quarto d’ora effettivo. Inoltre, non sono riusciti ad approfondire neanche le storie ed i rapporti che si vengono a creare nel gruppo dei protagonisti.
“I sette” (nome dato dalla serie al gruppo), e non solo loro, sono tutti personaggi piatti. Riescono appena a farti distinguere le personalità di ognuno di loro ma oltre a quello non si va. Anche con la presenza di storie romantiche tra alcuni membri, lo spettatore non riesce ad immedesimarsi con i personaggi. Ma tutto questo non accade per via di una scrittura povera della serie, ma proprio perché chi guarda non ha il tempo materiale per affezionarsi ai protagonisti. Il che purtroppo porta anche al non provare nessuna emozione per l’inevitabile dipartita di alcuni di loro.
Altro problema abbastanza significativo è la qualità degli effetti speciali. È molto altalenante e per niente all’altezza di quella della serie “madre”, che già da sé a volte aveva dei cali notevoli. Bene solamente quando sono usati sulle persone (anche se spesso sono un mix di trucco e computer grafica); male sulle bestie e sugli effetti di magia, dove il distacco si nota molto.
Fortunatamente ci sono anche dei lati positivi per “The Witcher: Blood Origin”. Innanzitutto il concept stesso della serie. Infatti Netflix va ad esplorare ed approfondire uno dei momenti della storia del mondo creato da Andrzej Sapkowski, mai esplorato con minuzia neanche nei libri. Il tutto viene gestito in modo interessante, tanto da far nascere nello spettatore il desiderio di vederne di più (anche per via della fretta con il quale viene narrato il tutto).
Il lato buono della medaglia della fretta è che nel corso di queste quasi 4 ore non ci si annoia mai. I momenti morti sono rari e l’azione fa da protagonista per tutto il corso della serie. I combattimenti non sono mai confusionari e sono spesso cruenti. Netflix fortunatamente non ha limitato la quantità si sangue mostrata a schermo. Il che non è altro che un punto a favore, andando ad aggiungere un pizzico di realismo in più.
Gradito anche l’espediente narrativo utilizzato per aprire e chiudere la serie. Per fare ciò viene utilizzato il personaggio di Jaskier, meglio conosciuto come Ranuncolo, dalla serie principale. Infatti l’avventura dei Sette e la congiunzione delle sfere viene narrata come una storia che il bardo (che oramai abbiamo già imparato a conoscere) deve raccontare e tramandare. Tutta questa parte con Ranuncolo lascia poi una sorta di possibile indizio per la terza stagione di “The Witcher“, il che va a legare bene le due serie. ATTENZIONE, ciò non vuol dire che bisogna vedere questo spin-off per comprendere a pieno la serie madre, che rimane completamente autonoma e autosufficiente.
“The Witcher: Blood Origin” non è altro che un’ulteriore serie originale Netflix che ha del potenziale ma non si impegna. Un’ottimo incipit e il world building che aveva a disposizione purtroppo non sono bastati per portare a tavola un prodotto pienamente sufficiente. Questo prequel rimane anonimo e senza emozioni, cosa che lo distingue totalmente, in negativo, da “The Witcher“. Ve la consigliamo solamente se siete interessati ad approfondire ancora un po’ questo ulteriore mondo fantasy, ma che purtroppo quest’anno non riesce a competere contro colossi come “House of The Dragon” o “The Rings of Power“.
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