“Prima regola del Fight Club: non parlate mai del Fight Club”. Prendiamo in prestito una frase di Brad Pitt, o meglio di Tyler Durden, per ricordare che 24 anni fa David Fincher esordiva, fuori concorso, alla Mostra del Cinema di Venezia. Correva l’anno 1999 e nelle sale usciva postumo “Eyes Wide Shut“. Mentre Stanley Kubrick, già vincitore del Leone d’Oro alla carriera nel 1997, diceva – metaforicamente – addio alla settima arte, per Fincher era solo l’inizio di un lungo e fortunato percorso. Il 3 settembre, infatti, l’acclamato regista è tornato al Lido in grande stile, con un progetto che potremmo definire “il sogno di una vita”. Su Netflix dal 10 novembre, “The Killer” vede nel cast Michael Fassbender, Arliss Howard, Charles Parnell, Kerry O’Malley, Sala Baker, Sophie Charlotte e Tilda Swinton.
“The Killer” segna la quarta collaborazione tra David Fincher e Netflix. Da quando ha firmato un contratto esclusivo – e multimilionario – con il colosso dello streaming, il cineasta americano ha goduto di piena libertà creativa e autonomia decisionale. Il primo film nato da questo accordo è “Mank“, scritto da suo padre, Jack Fincher, negli anni ’90. In passato, i due tentarono più volte di proporre il copione alle case di produzione, ma nessuno era disposto a finanziare una pellicola totalmente in bianco e nero. Nemmeno la morte del padre, nel 2003, convinse David Fincher a girare il film a colori. Ci sono voluti più di quindici anni, e la spinta produttiva di Netflix, perché il progetto vedesse finalmente la luce nel 2020.
Dopo aver narrato la genesi di “Quarto potere“, Fincher ha messo nel mirino il suo primo cinecomic. L’opera di riferimento è “Le Tueur” (The Killer), un fumetto francese del 1998 scritto da Alexis “Matz” Nolent e illustrato da Luc Jacamon. Anche in questo caso, il primo tentativo di sviluppo risale a diversi anni fa, per la precisione al 2007. La sceneggiatura era affidata ad Alessandro Camon, produttore di “American Psycho”, mentre la distribuzione era in mano a Paramount Pictures. David Fincher, che per anni aveva indagato la psicologia dei serial killer dall’esterno, voleva offrire al pubblico una prospettiva inedita.
Nonostante le ottime premesse, però, il progetto è rimasto in sviluppo passivo per oltre un decennio, fino a quando, nel 2021, il sogno non è diventato realtà. Forte delle 10 candidature all’Oscar per “Mank”, Fincher ha presentato il concept a Netflix, che in poco tempo ha acquisito i diritti del film dalla Paramount. Il cineasta ha potuto così esplorare la mente di un assassino dall’interno, mostrandone i dubbi, le contraddizioni e gli autoinganni.
Tratto dall’omonimo fumetto francese di Matz e Jacamon, “The Killer” ruota attorno a una figura tanto cara al cinema di Fincher: l’assassino. Questa volta, però, l’omicida non è seriale (come direbbero i due protagonisti di “Mindhunter” Bill Tench e Holden Ford), ma lavora esclusivamente su commissione. Il suo mantra, ripetuto dall’onnipresente voce fuori campo prima di premere il grilletto, è: “Combatti solo se sei pagato per combattere”. Il suo prossimo incarico, ordinato da un misterioso cliente, è a Parigi, la città romantica per eccellenza; nel suo modo di agire, però, non c’è nulla di romantico o di eccitante. Non prova piacere nell’uccidere. Ha raggiunto la fama e la ricchezza grazie a un approccio minimalista, sistematico e distaccato.
Nella lunga sequenza iniziale, infatti, il Killer (interpretato da Michael Fassbender) si sottopone a una rigorosa preparazione fisica e mentale. La sua costanza e determinazione sono quasi ammirevoli. Interrompe l’allenamento e la meditazione solo per mangiare, dormire e appostarsi. Dalla finestra della sua stanza si intravede una camera d’albergo, situata nel lussuoso palazzo antistante dove alloggia il bersaglio. La scena è un chiaro omaggio al capolavoro del 1954 “La finestra sul cortile“; se nel film di Alfred Hitchcock, però, il focus era su James Stewart e sulla sua ricerca dell’assassino, qui, in un fantastico controcampo fittizio, è il Killer a spiare i residenti.
Per ingannare l’attesa – e combattere la noia – il protagonista filosofeggia, risponde a domande esistenziali, snocciola una serie di numeri e statistiche sulla vita e sulla morte, dando prova della sua esperienza. La stanza in cui alloggia è pulita e deserta, l’atmosfera (curata dal premio Oscar Erik Messerschmidt) è idilliaca, e la messa in scena è di una precisione geometrica. Tutto fa pensare a un lavoro rapido, agevole e senza intoppi: la classica “operazione da manuale”.
Dopo averci esposto il manuale del sicario perfetto, il Killer è pronto a entrare in azione. I suoi occhi – e quelli del pubblico – sono puntati sul bersaglio, il battito cardiaco è regolare. Il piano è stato eseguito nei minimi dettagli, sicché il successo è dietro l’angolo. Non appena la mano preme il grilletto, però, qualcosa va storto; un corpo si frappone tra lui e il suo obiettivo, e il colpo manca il bersaglio. Il protagonista, un tempo infallibile, si ritrova così braccato (come Alain Delon in “Frank Costello faccia d’angelo“) dai suoi ex datori di lavoro, che fanno visita ad una persona a lui cara, ferendola gravemente.
Da Parigi alla Repubblica Dominicana, passando per New Orleans, la Florida, Chicago e New York, il Killer mette in atto una vendetta che giura non essere personale. I suoi pensieri, però, vengono puntualmente smentiti. Nonostante cerchi di attenersi al suo rigido codice morale, infatti, il contrasto hitchcockiano tra le parole e le immagini è evidente. Le frasi che ripete a se stesso (“Non improvvisare”, “Combatti solo se sei pagato per combattere”) contraddicono le sue azioni, svelando gli autoinganni di un uomo che non è più in grado di distinguere la realtà dalla sua percezione soggettiva. E chi meglio di un autore come Fincher per mettere a fuoco i dubbi e lo smarrimento di un assassino?
David Fincher ha sempre amato scavare a fondo nella complessa e tormentata psiche di personaggi solo all’apparenza normali. Esistenze inquiete e frammentate nascoste dietro a maschere di falsa ordinarietà. Basti pensare al detective David Mills (Brad Pitt) in “Seven”. Al personaggio di Edward Norton in “Fight Club”. A Mark Zuckerberg (Jesse Eisenberg) in “The Social Network”. O ancora, a Nick Dunne (Ben Affleck) in “Gone Girl”. Al profiler Holden Ford (Jonathan Groff) in “Mindhunter”. Ciascuno di questi personaggi è il ritratto dell’epoca in cui vive; di conseguenza, agendo nel 2023, il protagonista di “The Killer” rispecchia l’incoerenza e le contraddizioni della società contemporanea.
Ad eccezione di “Song to Song” di Terrence Malick, le ultime apparizioni di Michael Fassbender (“Assassin’s Creed”, “L’uomo di neve” e “X-Men – Dark Phoenix”) sono state piuttosto deludenti. Nonostante ciò, Fincher gli ha affidato un ruolo da protagonista assoluto, rilanciando di fatto la sua carriera. In “The Killer“, l’attore di origine tedesca, con il suo sguardo glaciale e la sua forte presenza scenica, interpreta un sicario freddo, spietato e risoluto. Dietro al killer perfetto si cela però un uomo dei nostri tempi, che mangia da McDonald’s ed effettua ordini su Amazon, prelevando addirittura gli acquisti dai punti di ritiro (i cosiddetti Hub Locker). L’assassino tratteggiato da David Fincher e Andrew Kevin Walker non ha un nome poiché, potenzialmente, può essere chiunque (e ovunque).
“The Killer” è un action thriller narrativamente e stilisticamente chirurgico: un revenge movie freddo e glaciale, girato da un David Fincher più che mai metodico e calcolatore. Andrew Kevin Walker, già collaboratore del regista dai tempi di “Seven“, firma una sceneggiatura concisa, lineare e meccanica, che rispecchia il piano d’azione del killer. Sotto la superficie, però, il film nasconde anche una riflessione sul lassismo della nostra società. Il racconto, infatti, riprende il discorso aperto da Andrew Kevin Walker con la terza stagione della serie Netflix “Love, Death & Robots“. Nel secondo episodio, intitolato “Bad Travelling” (Un brutto viaggio), il marinaio Torrin è alle prese con un equipaggio che ha perso la bussola morale. La stessa bussola che sembrano aver smarrito il protagonista (e il mondo) di “The Killer”.
Se l’antieroe può sbagliare, e può finire in una spirale di incoerenza, Fincher segue invece il piano alla lettera, senza mai uscire dai binari, adeguando la forma al contenuto. Una scelta che potrebbe disorientare alcuni spettatori, a cui il regista nega – volutamente – l’emozione. Libero da vincoli e imposizioni, David Fincher sfrutta i pochi dialoghi a disposizione per sovvertire i canoni del genere. Nelle azioni del killer, infatti, non c’è pathos o lirismo, ma solo una spietata indifferenza. Pertanto, la vendetta (consumata con freddezza da un sicario letale e senza scrupoli) è messa in scena da Fincher in modo altrettanto algido e millimetrico.
In netta controtendenza rispetto ai cinecomic moderni, “The Killer” alterna il soliloquio del protagonista a un elegante racconto per immagini, senza dover ricorrere a sottotrame cervellotiche, colpi di scena e inutili didascalismi. Sebbene il film sia distribuito da Netflix (e quindi destinato al grande pubblico), Fincher mantiene intatto il suo sguardo autoriale. Dopo una costruzione magistrale della tensione, infatti, il cineasta americano ribalta le aspettative e smorza l’entusiasmo con un finale freddo, anticlimatico e – a un primo sguardo – inconsistente. Un epilogo che, in realtà, chiude perfettamente il cerchio, osservando la banalità e il paradosso del male.
A differenza dei film “usa e getta” normalmente prodotti dai servizi streaming, “The Killer” è un’opera densa di significati nascosti, che richiedono – e meritano – più di una visione per essere compresi appieno. Il montaggio della sequenza d’apertura, ad esempio, anticipa la discrepanza tra la percezione soggettiva del protagonista e la realtà. Kirk Baxter (vincitore dell’Oscar per “The Social Network” e “Millennium – Uomini che odiano le donne”) alterna continuamente i punti di vista del pubblico e del killer, attraverso stacchi netti e rapidissimi, e una musica che passa da diegetica a extradiegetica.
Nonostante una ricerca ossessiva della perfezione formale e della coerenza stilistica, David Fincher sfrutta la sua padronanza del mezzo cinematografico per sperimentare e spaziare tra più generi: dal dramma all’action, passando per il thriller psicologico. Grazie a un comparto tecnico versatile e armonioso, “The Killer” regala momenti di grande intrattenimento. La commistione tra fotografia, movimenti di macchina, montaggio ed effetti sonori, culmina infatti in una delle sequenze action più fluide e tridimensionali degli ultimi anni. Calato in uno spazio angusto e in un’atmosfera crepuscolare, Fincher orchestra un combattimento corpo a corpo spettacolare.
Travestito da turista tedesco, il Killer si mimetizza tra la folla e vive – nel ventunesimo secolo – come un’ombra sfuggente. Gli unici elementi che ne definiscono la personalità sono la sua – cantilenante – voce fuori campo, il suo black humor e le canzoni che ascolta. Dai brani non originali dei The Smiths, fino ad arrivare alla colonna sonora dei premi Oscar Trent Reznor e Atticus Ross, la musica gioca un ruolo fondamentale in “The Killer“. L’impianto sonoro del film, infatti, manifesta ed enfatizza il conflitto interiore del protagonista.
Quando il Killer, a New York, incontra L’esperta, interpretata con eleganza e ironia da Tilda Swinton, il castello di carte crolla, rivelando l’incoerenza e l’ipocrisia del suo piano. Seduti a tavola, in un ambiente rilassato, i due conversano pacificamente. Tuttavia, tra barzellette e giochi mentali, il dialogo muta rapidamente in un dibattito esistenziale sull’etica del sicario moderno. Da un lato Michael Fassbender, che interpreta un killer imponente, spietato e irrazionale; dall’altro Tilda Swinton, che impersona un sicario raffinato, lucido e manipolatore.
Come scritto nella nostra recensione, “The Killer” è un ottimo revenge movie, che mette in scena con precisione chirurgica la vendetta di un sicario spietato, meticoloso e glaciale. Nell’arco di 7 capitoli (compreso l’epilogo), David Fincher mette costantemente in dubbio il codice morale del protagonista, riflettendo al contempo sull’incoerenza della società. Benché le performance di Michael Fassbender e Tilda Swinton siano eccelse, a sorprendere è la prova di Kerry O’Malley (memorabile la sequenza dell’ascensore). Tra rimandi a “John Wick” e al cinema di genere anni ’60 e ’70, David Fincher confeziona un film serrato e avvincente, impreziosito dalla colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross. Nonostante la parte centrale sia abbastanza canonica e prevedibile, “The Killer” ha un apparato visivo talmente affascinante da tenere lo spettatore incollato allo schermo.
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