Il 27 marzo del 1975 il cinema italiano conosceva per la prima volta Ugo Fantozzi. Un personaggio entrato immediatamente nell’immaginario collettivo, capace di segnare tre decenni della cultura popolare italiana. Ma anche di rimanere radicato nella cultura successiva, nei riferimenti e nelle espressioni gergali che gli rendono omaggio. Paolo Villaggio, autore e interprete del proverbiale ragioniere, diede volto non solo ad una “macchietta”: perché la tragicomica parabola di Ugo Fantozzi è un po’ lo specchio dell’essere italiani.
Personaggio, guitto, maschera da commedia dell’arte, icona. Ma anche immagine dell’italiano medio, servile e sottomesso ai casi della vita, riverente e ossequioso a chi gli sta sopra, ma anche farsesco e un po’ sfigato. Tutto questo è racchiuso in un unico volto, quello del ragionier Ugo Fantozzi, prodotto immaginario ma anche progenie di un’intera cultura: quella popolare, bassa e un po’ meschina, quella dell’uomo qualunque. Un inetto, “la quintessenza della nullità”, come lo definì lo stesso Villaggio.
È il volto dell’Italia degli anni Settanta, uscita dagli anni del boom con un’aria disillusa e profondamente cinica su sé stessa. Un Paese che nel decennio precedente aveva rappresentato le proprie dinamiche con fare spiritoso ma a tratti malinconico, quasi in bilico sullo sguardo da adottare. Poi la rottura: il Sessantotto, la contestazione e la fine di un idillio. E così, via la sottile critica di costume della commedia all’italiana; largo alla satira più aspra, più gretta, più apertamente popolare. Largo ad Ugo Fantozzi.
L’incisività della figura di Fantozzi nell’immaginario italiano è data già da numeri oggettivi. Una serie di ben 10 film, conclusa nel 1999, tra cui molteplici campioni di incassi. Ma soprattutto tre decenni segnati dalla sua inconfondibile presenza: quella di un uomo in cui (sotto sotto) ritrovarsi, ma anche di una caricatura da schernire per poter esorcizzare le proprie bassezze.
Numerosi sono gli episodi della vita di Ugo Fantozzi entrati nei riferimenti collettivi, dalla partita a tennis a quella della nazionale di calcio (“Scusi, chi ha fatto palo?”), passando per la proverbiale nuvoletta inseguitrice. Scene e momenti esilaranti e in qualche modo sempre tormentati, frammenti della quotidianità di un povero impiegato assoggettato dai superiori e servile al potere. Quella di Fantozzi è lo specchio di una società ormai ingegnerizzata, devota alla vita d’azienda (la Megaditta) e in cui l’individuo è costretto a chinare il capo. Ma non senza un piglio di resistenza alle continue vessazioni, in una tragicomica ricerca di riscatto. Insomma forse uno degli ultimi baluardi di autenticità, seppur rozza e caricaturale, in un mondo spersonalizzante come il nostro.
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