Disponibile dal 5 agosto su Disney+, “Prey” è un film diretto da Dan Trachtenberg. Nel cast della pellicola troviamo Amber Midthunder, Dakota Beavers, Stormee Keeps, Michelle Trush, Julian Black Antelope e Dane DiLiegro.
Non è mai facile reinventare un franchise “vecchio”, ma Dan Trachtenberg con il suo “Prey”, è riuscito a portare a termine la missione. Con un’atmosfera che ricorda il primo film del 1987, ad essere differente è il suo collocamento temporale. Per la prima volta la saga di “Predator” muove i suoi passi silenziosi e minacciosi nel passato, per la precisione nel 1700 nei territori dei Comanche. Cacciatori contro cacciatori, quale sfida migliore per l’alieno Yautja pronto a trovare un degno avversario nel vasto universo? “Prey” mostra questo e non solo.
Agli inizi del 1700, tra i cacciatori Comanche delle Grandi Pianure, troviamo Naru (Amber Midthunder). La ragazza è una tuttofare della sua tribù, ma il suo sogno è quello di essere considerata una vera cacciatrice da suo fratello e non solo. L’occasione per la giovane si presenterà quando dal cielo arriva una presenza invisibile, misteriosa e pericolosa. Da qui partirà lo spietato scontro tra predatori, dove solo uno dei due sarà la preda.
“Prey” non è solo una sorta di inversione del titolo del franchise di “Predator”, ma è il cuore pulsante della storia della pellicola di Dan Trachtenberg. Infatti il racconto parla di predatori e di come questi nella catena alimentare possano passare in un nulla ad essere le prede. Lo scontro tra Naru e l’iconico alieno cacciatore, metterà in evidenza chi dei due è in cima alla catena alimentare e molto altro.
“Prey” oltre a mostrare la lotta contro la minaccia di un altro mondo, racconta la ricerca di emancipazione della sua protagonista. Nonostante la presenza di dialoghi poco brillanti, la crescita e la consapevolezza di Naru viene mostrata attraverso i suoi errori e soprattutto nella lotta contro il Predator. Il pregio di questo approccio è quello di rappresentare una donna forte che cerca il suo posto nel mondo, senza cadere nei classici luoghi comuni. Ed è in questa lotta per l’uguaglianza che la pellicola offre un parallelo interessante proprio con il cacciatore arrivato dallo spazio.
Il Predator, proprio come Naru, non è solo alla ricerca di un avversario degno per il suo mondo, ma anche lui cerca una sorta di libertà e riconoscenza per la sua missione nel nostro pianeta. Anche se l’alieno non ha dialoghi, questo è ben evidente dal suo essere ancora acerbo negli scontri. L’alieno ha difficoltà nell’eliminare un orso e quando è circondato da umani con armi da fuoco, ha non poche difficoltà nonostante la sua superiorità schiacciante. Ed è proprio questa difficoltà che mette i due predatori sullo stesso piano.
La cacciatrice Comanche e il predatore alieno sono due facce della stessa medaglia. La prima da essere preda, come da titolo, diventa un predatore per poter cacciare e eliminare il Predator, salvando la sua tribù e mostrando di essere una vera cacciatrice. Mentre l’alieno è sulla Terra per poter mostrare, oltre allo studio degli umani e degli animali del pianeta, che è il miglior cacciatore dell’universo. Queste ambizioni dichiarate e mostrate con determinate azioni, rendono maggiormente intrigante l’intero setting di “Prey”.
Il primo film di “Predator” divenne subito un cult. L’ambientazione, la minaccia del cacciatore alieno e l’umorismo che rendeva il tono della pellicola più leggero, hanno portato il franchise ad ottenere dei sequel e dei reboot meno riusciti. Per quanto il secondo capitolo abbia un’interessante ambientazione metropolitana, non trasmise lo stesso fascino del primo capitolo. Ma a rischiare di decretare la morte definitiva del franchise furono “Predators” e “The Predator” del 2018. Inoltre non dimentichiamoci dei due crossover con Alien, due delle peggiori pellicole dedicate ai due iconici alieni.
Nonostante le difficoltà, “Prey” arriva sui nostri schermi, regalando una delle esperienze più interessanti e innovative dedicate all’alieno creato da Jim e John Thomas. Dan Trachtenberg, già regista dell’ottimo “10 Cloverfield Lane”, attraverso questo prequel, mette in scena un’ambientazione inedita. Per quanto le foreste delle Grandi Pianure possano rimandare subito alla giungla del primo iconico capitolo, “Prey” prende una propria strada portando in scena la cultura dei Comanche. Questa viene mostrata al meglio su schermo, presentando una chicca a dir poco sorprendente. Nella sezione extra della scheda del film su Disney+, è possibile trovare una versione del film recitata interamente in lingua Comanche.
Questo non solo mostra il rispetto da parte del regista nei confronti della cultura nativo americana, ma esalta le interpretazioni del cast, su tutti Amber Midthunder. In lingua Comanche, l’esperienza di “Prey” è decisamente più realistica e immersiva rispetto alla versione doppiata e interpretata in lingua inglese. A non funzionare infatti è il sentir parlare i coloni francesi in francese e subito dopo la protagonista (che parla ovviamente in Comanche) risponde in inglese. Il lavoro fatto è decisamente di alto livello ed è proprio per questo che vi consigliamo la visione di “Prey” recitata in lingua Comanche.
“Prey” presenta su schermo una delle versioni più belle dell’iconico cacciatore alieno. Con la presenza fisica di Dane DiLiegro, ex cestista NBA naturalizzato italiano, il Predator presenta un design quasi primitivo, soprattutto se comparato con i suoi simili apparsi nelle pellicole precedenti. Più scoperto e con un elmo scheletrico, il cacciatore spaziale non può fare a meno di numerose armi tecnologiche. Infatti, il vantaggio tattico dell’alieno non riguarda solo la sua forza e la sua resistenza, ma è la sua tecnologia a prevalere sulla Terra del 1700. L’essere cinico e spietato del Predator, viene mostrato al meglio attraverso i suoi scontri.
Scontri che sono la parte migliore di “Prey”. Nella sua breve durata, solo 1 ora e 30 minuti, la pellicola fatica nei primi minuti a decollare, ma una volta che è in volo, alta tensione e azione si susseguono in una lotta alla sopravvivenza e alla salvezza della stessa umanità. L’azione è ben girata e violenta, come nei capitoli precedenti (ad esclusione della pellicola del 2018), e offre allo spettatore un prodotto valido sotto questo punto di vista. A peccare insieme all’inizio in sordina, è la CGI in alcuni momenti. Un esempio è l’invisibilità del Predator, dove è ben evidente l’effetto realizzato in post produzione.
“Prey” è un prequel valido, che rende giustizia al franchise di “Predator”. Con un’ottima regia e una cura nel rispettare la cultura Comanche, tanto da girare il film completamente nella lingua della comunità nativo americana, il lavoro di Dan Trachtenberg è una gradita sorpresa. Le sequenze action sono ben girate, mostrando anche la giusta crudeltà delle azioni del Predator, e al netto della lentezza iniziale, “Prey” intrattiene e offre un’ottima e nuova prospettiva dell’universo del franchise sci-fi.
A spiccare però è il parallelo tra Naru e l’alieno, predatori alla ricerca della loro emancipazione nelle rispettive tribù, offrendo così una sorta di inversione dei ruoli anticipata dal titolo della pellicola. Il design del Predator del 1700 è affascinante e coerente con l’ambientazione passata, mostrando così che anche la civiltà Yautja si è sviluppata nel corso dei secoli. Ma se il design dell’alieno è valido, la CGI in alcuni momenti lo è decisamente meno.
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