di Lorenzo Procopio
Ricorre oggi un evento quasi messianico per l’industria dell’intrattenimento contemporanea. Rintoccano oggi, infatti, i 121 anni dalla nascita di Walt Disney. Un uomo che, grazie al suo genio visionario, ha rivoluzionato l’intera cultura di massa novecentesca. Andiamo ad approfondirne le origini per capire il suo impatto fino ad oggi…
Walt Disney: il visionario della cultura di massa
Il Novecento è stato un periodo, nella storia recente, che per molti versi ha rappresentato una rottura con la cultura e i modelli del passato. Uno snodo epocale, catalizzatore di cambiamenti repentini che si sono susseguiti ad un ritmo vertiginoso per tutto l’arco di un centenario che, per l’appunto, si è guadagnato la definizione di “secolo breve”. All’interno di un’età di mutamenti, ciò che più di ogni altra cosa ha fatto la differenza è una particolare presenza: quella di personalità visionarie, pionieri della tecnica e geniali premonitori, in grado di orientare verso il futuro le rivoluzioni in campo culturale e scientifico. E con forza dirompente e maggiore di ogni altra, una rivoluzione su tutte si è imposta a modellare la società novecentesca: l’avvento della cultura di massa.
Walt Disney si colloca precisamente nella schiera delle personalità citate. Ma probabilmente, tra essi, occupa un ruolo persino di spicco. Perché grazie al suo lavoro, o dovremmo dire alla sua geniale inventiva, Disney ha realizzato un vero e proprio atto di Creazione. Tramite le sue opere ha sviluppato, e allo stesso tempo reso nobile, l’animazione per immagini in movimento, fino ad allora conosciuta solo nella sua versione rudimentale. I suoi personaggi si sono inoltre imposti come “icone” del fantastico, in una cultura che vedeva sempre più il fantastico fare irruzione e compenetrare il reale. La conseguenza è presto detta: la creazione di un intero immaginario culturale.
Le origini: chiamali, se vuoi, cartoni
Walter Elias Disney Jr. nacque a Chicago nel 1901, portando con sé l’alba del secolo che avrebbe conquistato. Fin dalla prima adolescenza iniziò a lavorare con il padre distribuendo giornali, dopo il trasferimento della famiglia a Kansas City. Qui avvenne il primo incontro del giovane Walt con i fumetti, nonché la prima esperienza con il mondo editoriale: sembra infatti che il futuro re dell’animazione venne scartato dal giornale Kansas City Star, per il quale aveva richiesto un impiego da fumettista. Reclutato nella Croce Rossa di stanza in Francia durante la Prima guerra mondiale, al termine del conflitto si aprirono per lui le porte dell’ignoto. Un orizzonte che Disney, neanche diciottenne, era intenzionato a costruirsi da solo.
Tornato negli Stati Uniti trovò così un impiego presso un’agenzia pubblicitaria a Chicago, dove strinse amicizia con l’animatore Ub Iwerks. L’incontro tra i due si rivelò fondamentale: poco dopo i due fondarono la propria società d’animazione, la Iwerks-Disney Commercial Artists. Fu in questo periodo che Walt Disney iniziò a sperimentare con l’uso della cinepresa, in modo da aggiungere ai suoi bozzetti una caratteristica essenziale: il movimento. Realizzò così dei primi filmati – chiamati “Laugh-O-Grams” – dalla durata di un minuto, che poi rivendeva ad altre società. Grazie al loro successo, nel 1922 lanciò la Laugh-O-Gram Studio, con cui produsse dei cortometraggi ispirati alle fiabe popolari. Il suo progetto visionario assumeva sempre più dei lineamenti distinti, ma mancava ancora un ultimo ingrediente.
Walt Disney: il mago dell’immagine
Molte persone considerano forse l’animazione in movimento come un prodotto del cinematografo, una strada “finzionale” e collaterale intrapresa dal mezzo. In realtà, antecedenti dei cosiddetti cartoni animati esistevano già nell’Ottocento. Lanterne magiche, panorami, diorami e fantasmagorie popolavano l’immaginario comune già da un secolo, ancor prima dell’invenzione del cinema risalente al 1895. Ed è precisamente a questa cultura visuale che si richiama Walt Disney, un sapere tecnico fortemente intriso di credenze magiche, illusionismo e fantasia. Ma se le prime creazioni dell’autore sembravano un pieno sviluppo dei mezzi a lui già precedenti, fu una particolare innovazione a sprigionare tutte le potenzialità della nascente animazione.
Siamo nel 1927, in una storia che intreccia il destino della neonata Walt Disney Studio a quella di un’altra casa di produzione. In quell’anno infatti, la Warner Bros. realizzò il film che avrebbe cambiato per sempre la storia del cinema; “Il cantante di jazz“, questo il titolo dell’opera, compì un miracolo prima di allora impensabile: per la prima volta le immagini erano sincronizzate al sonoro. Un cambiamento che sa di rivoluzione, tra le tante che come detto, hanno costellato il Novecento. Ma che, come il furbo Walt capì presto, poteva rappresentare una svolta anche per il suo lavoro. Giusto l’anno prima, lo stesso aveva creato un nuovo personaggio, per molti in veste di suo alterego, un simpatico topolino che fino ad allora era stato senza voce. Ma grazie all’introduzione del sonoro Mickey Mouse poté finalmente farsi sentire. Il 18 novembre, a New York, si svolse la proiezione pubblica di “Steamboat Willie“, in cui Topolino-Walt fischiettava allegramente. E il suono che ne venne fuori fu quello del successo.
Un topolino più grande degli elefanti: la nascita di un impero
Da quella data la scalata fu poderosa e repentina, una corsa inarrestabile verso la conquista del mondo: quello delle immagini, sempre più specchio e contraltare del reale. Nel 1931 Topolino apparve in 12 film, mentre allo stesso tempo faceva il suo debutto Paperino. L’anno successivo un’altra innovazione diede colori ai personaggi, grazie all’uso del Technicolor. Nello stesso 1932 Walt Disney vinse i suoi primi due Oscar: il primo al miglior cortometraggio d’animazione, il secondo onorario in omaggio all’invenzione di Topolino. Infine, la consacrazione: il passaggio al lungometraggio. Un lavoro che durò ben due anni, capillare e meticoloso nel curare sia gli aspetti visivi che sonori, a costo di indebitare la produzione di fronte alle banche. E l’esordio al lungometraggio fu dei più clamorosi: “Biancaneve e i sette nani“, basato sull’omonima fiaba dei fratelli Grimm, uscì nelle sale statunitensi nel 1937, il primo film animato a colori e in inglese.
Il successo economico del film fu considerevole, aggirandosi attorno agli 8 milioni di dollari (circa 100 milioni di oggi). L’ingente guadagno consentì a Walt Disney di costruire a Burbank il quartier generale della sua produzione, i Walt Disney Studios (ancora oggi in funzione). Da lì proseguì la costruzione dell’impero per tutti gli anni ’40. Nel 1940 vennero prodotti “Pinocchio” e “Fantasia“, l’anno successivo “Bambi” e “Dumbo”, i primi semi del canone dei Classici Disney. Il nuovo decennio fu poi portatore di nuovi successi, quali “Cenerentola” (1950), “Alice nel Paese delle meraviglie” (1951) e “Le avventure di Peter Pan” (1953). Infine, nel 1955, il marchio che suggellò la conquista dell’immaginario collettivo: l’inaugurazione di Disneyland, l’iconico parco divertimenti che creerà una vera e propria tendenza nel settore dell’intrattenimento popolare.
L’eredità Disney oggi
Walt Disney morì il 15 dicembre del 1966, all’età di 65 anni, a causa di un tumore polmonare. Un’età tutto sommato giovane, se consideriamo l’aspettativa di vita odierna. Ad ogni modo, alla sua scomparsa lasciò un enorme impero le cui estensioni toccavano ogni settore dell’industria culturale, così come un vuoto altrettanto grande. La sua carriera cinematografica si chiuse registrando numeri impressionanti: decine di cortometraggi d’animazione, 18 lungometraggi, 26 premi Oscar (record assoluto individuale). Ma la sua creatura immaginaria non era certo destinata a smettere di crescere. Walt Disney aveva ormai creato un mondo, o con un termine più attuale, un universo: libero di accrescersi e moltiplicarsi come il prodotto di una fantasia illimitata.
In seguito ad una crescita continua, la attuale The Walt Disney Company è una delle multinazionali più potenti a redditizie al mondo, presente praticamente in ogni settore dell’intrattenimento e dei media. Cinema, televisione, animazione, fumetti, musica, parchi a tema e piattaforme on-demand: non c’è angolo, nell’immaginario collettivo, in cui non sia presente il simbolo di Topolino. La creatura di Walt Disney è cresciuta, e non sembra avere limite alla sua espansione. D’altronde, come recita il celebre slogan a lui attribuito, basta seguire una sola regola: «Se puoi sognarlo, puoi farlo». Una lezione che, nel contesto iper mediatico contemporaneo, risuona di toni profetici…
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