“La donna pelosa”, “la donna scimmia”, “la donna orso”, sono tanti gli epiteti che nel corso della sua breve vita Julia Pastrana è stata costretta ad adottare per pubblicizzarsi durante le sue esibizioni in giro per gli Stati Uniti. Una ragazza come un’altra, con un grande talento nel ballo e nel canto, se non fosse per una malattia, al tempo sconosciuta, che la condannò fin dalla giovinezza. Ripercorriamo quindi la storia di Julia, vissuta in pubblico lungo i “freak show” americani e in privato con un marito sfruttatore…
Partiamo dalle parole che Charles Darwin scrisse su questa donna, dopo la sua morte prematura:
“Julia Pastrana, una ballerina spagnola, era una donna straordinariamente bella, ma aveva una folta barba maschile e una fronte pelosa; fu fotografata e la sua pelle imbottita era esposta come spettacolo, ma ciò che ci interessa è che aveva nella mascella superiore e inferiore una doppia dentatura irregolare […]. A causa della ridondanza dei denti la sua bocca sporgeva e il suo viso aveva un aspetto simile a quello di un gorilla”.
Da questa breve descrizione apprendiamo le due caratteristiche fisiche più evidenti, che hanno reso Julia un “fenomeno da baraccone”: presenza di peli molto folti su tutto il corpo e una dentatura irregolare. Il primo elemento è frutto dell’ipertricosi, una malattia, al tempo sconosciuta, che comporta una crescita spropositata dei peli corporei, e può essere congenita o acquisita. La dentatura irregolare sottolineata da Darwin, invece, è la conseguenza dell’iperplasia gengivale, che consiste in una crescita eccessiva della gengiva, tale da poter coprire anche i denti.
Julia Pastrana nacque a Sinaloa, in Messico, nel 1834. Su di lei non disponiamo di molte informazioni, tanto che il suo arrivo negli Stati Uniti non risulta essere documentato; tuttavia è probabile che sia stata comprata. Il talento canoro e ballerino di Julia le permisero di trovare lavoro come artista, esibendosi a Broadway sotto la direzione di J.W. Beach.
Nel 1854, tuttavia, si sposò con Theodore Lent, il quale assunse la sua direzione e la portò in giro per gli Stati Uniti e l’Europa. Il marito, a scopo pubblicitario, decise di far leva sull’aspetto fisico della moglie, descrivendola come un ibrido tra essere umano e animale; a questo scopo egli la costrinse a essere esaminata da medici, alcuni dei quali, come Alexander B. Mott, certificarono addirittura l’origine della ragazza come frutto dell’accoppiamento tra un essere umano e un orango. Il giudizio forse più “lusinghiero” e lungimirante, per quei tempi, fu dello zoologo Francis Buckland: “è solo una donna messicana deforme“.
Prendendo in considerazione solamente quelle descrizioni mediche che sostenevano l’ibrido tra animale e uomo, Lent appose quelle certificazioni sui manifesti pubblicitari dedicati alle esibizioni della moglie; questi spettacoli, infatti, erano i cosiddetti “freak show” (fenomeni da baraccone), in cui si esibivano persone affette da deformità.
Julia Pastrana morì all’età di 26 anni, nel 1860, a causa delle complicanze post-partum; il figlio, tuttavia, portatore anche lui delle stesse malattie della madre, morì dopo pochi giorni. Lent, invece di organizzare il funerale, volle continuare a sfruttare per i propri scopi la sua immagine, spedendo il cadavere della moglie e del figlio a Mosca, allo scopo di mummificarli. Il professore Sukolov procedette quindi con un’operazione per “imbottire” i corpi, attraverso una procedura tuttavia diversa dalla “mummificazione”. Concluso questo processo, Lent acquistò il cadavere della moglie e del figlio per esporli in tutta Europa.
Per oltre cento anni, il cadavere di Julia e del figlio divennero un fenomeno da baraccone, nonché vittime di atti di vandalismo e furto. Solamente nel 2013, la Norvegia spedì il corpo in Messico, a Sinaloa, dove finalmente Julia venne sepolta, rendendole giustizia.
L’Ottocento e il Novecento erano tempi cronologicamente vicini ai nostri, ma distanti dal punto di vista valoriale, in cui il confine tra “umano” e “diverso” era dettato dall’aspetto esteriore o dalla propria origine. L’esperienza di Julia e di tanti altri, invece, funge da monito per non ricadere in errori simili, per non subordinare il valore di un individuo a seconda della genetica o del luogo di provenienza.
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