Il volto di Harry Styles guida l’arrivo di “My Policeman” su Amazon Prime Video. Dopo la tiepida accoglienza al Toronto Film Festival, quella che si preannunciava una storia di amore proibito sbarca in piattaforma: sarà una passione che brucia davvero? Andiamolo a scoprire insieme.
Diversi riferimenti cinematografici, ad una prima occhiata, sembrano confluire in “My Policeman”, secondo film del noto regista teatrale Michale Gandrage. Un’opera che, fin dalle prime sequenze, strizza l’occhio a drammi sentimentali come “Le pagine della nostra vita” (nella struttura temporale), ponendosi però sulla scia tematica di “Chiamami col tuo nome”. Richiami che prendono la forma di appigli, in una storia che avrebbe tanto da dire ma che forse lo fa senza dimostrare il giusto carattere.
Le vicende di “My Policeman” si alternano, lungo tutto l’arco della narrazione, tra due differenti temporalità. Da una parte un presente sbiadito, invecchiato dal peso dei ricordi. Dall’altra un colorato passato, quello degli anni ’50, che nasconde dietro la sua facciata le colpe e le ferite in grado di spegnere quella vitalità che i sentimenti giovanili promettono. Perché la storia di “My Policeman” è, almeno sulla carta, quella di un amore travolgente e proibito, un sentimento passionale che va contro le leggi della società e della ragione. Ma è anche una storia la cui resa, a conti fatti, sbiadisce come lo scorrere del tempo che rappresenta.
Presente e passato del racconto sono uniti dalla presenza degli stessi tre personaggi. Ai due poli opposti Tom (Harry Styles), un giovane e affascinante poliziotto, e la controparte Patrick (David Dawson), curatore di un museo e artista dandy. Nel centro, l’insegnante Marion (Emma Corrin), a fare da perno inconsapevole delle vicende. Il loro triplice intreccio nasce nei patinati anni ’50, un periodo della storia inglese che il film raffigura senza molta profondità. Ad eccezione di un tema, quello dell’omosessualità, onta di perversione da nascondere agli occhi della società ben pensante.
Allo stesso modo l’amore proibito tra i due uomini si alimenta all’oscuro dell’ingenua Marion, che Tom sposa un po’ per sentirsi “normale”, un po’ per cercare di porre un freno ad un sentimento che il giovane poliziotto giudica sbagliato. Inizia così un gioco delle parti che Tom cercherà a fatica di tenere in piedi, tra la facciata di un matrimonio senza fiamma e l’impeto che lo avvolge a Patrick. Un’altalena piena di ripercussioni per tutti e tre i personaggi, come dimostrano i flash-forward con al centro le rispettive controparti anziane.
Appare evidente come “My Policeman” si adagi languidamente sull’immagine del suo protagonista, un Harry Styles sulla cui figura erano certamente convogliate tutte le aspettative del film. Fin dall’inizio la pellicola pone al centro il suo corpo maschile, oggetto di uno sguardo femminile che inverte le classiche dinamiche di gender (dove è solitamente la donna che è oggetto di sguardo dell’uomo). Tale traiettoria si ibrida infine quando il soggetto passa da femminile a maschile, nel momento in cui si stabilisce la coppia omosessuale. La centralità del tema dello sguardo è confermata dalla stessa struttura del primo atto, che si costituisce non a caso come un ribaltamento di punti di vista.
Sotto questo aspetto, la scelta iniziale del racconto si dimostra intelligente: la storia narrata dal punto di vista di una ragazza innamorata si ribalta adottando lo sguardo (e le parole) dell’uomo innamorato, condividendo entrambi l’oggetto del proprio desiderio. Il film dimostra così, almeno nella prima parte, un intento estetico oltre che narrativo. Intento che però, purtroppo, va annacquandosi con il passare del tempo, appiattendosi nell’ultimo atto in una risoluzione senza originalità o almeno mordente. L’intreccio alla base di “My Policeman” si rivela infatti privo di carattere o audacia. Ne consegue che pur raccontando, almeno a parole, di un amore struggente e senza freno, lo fa in modo fiacco e fin troppo convenzionale.
Tocchiamo infine una delle problematiche più evidenti di “My Policeman”, ossia il rapporto con l’immagine, in particolare quella del suo protagonista. Fin dalle prime sequenze si capisce come Harry Styles sia stato scelto evidentemente per la sua resa estetica piuttosto che per quella espressiva. La conseguenza è che per quanto la telecamera indugi nel renderlo, durante il primo atto, un oggetto del desiderio, il risultato non è altrettanto efficace quando l’attore è chiamato ad esprimere il suo lato emotivo.
Quello di Tom è un personaggio complesso, sfaccettato, dilaniato tra le sue pulsioni e il disprezzo nei confronti dei suoi stessi sentimenti, che lotta con l’accettazione di sé stesso e nel frattempo si costruisce una “facciata” accettabile con una relazione eterosessuale. Purtroppo Harry Styles fallisce nel restituire sullo schermo la profondità di un tale carattere, in una interpretazione tutto sommato senza smalto. Ma se lo stesso si può dire di Emma Corrin, inaspettatamente la prova più convincente viene da David Dowson, in partenza il meno conosciuto del trio. Lo squilibrio tra le loro prove è aggravato dalla scarsa chimica tra i tre, che appaiono troppo presi a gestire la complessità dei caratteri individuali per poter costruire un dialogo da cui far emergere il dramma della storia.
Nonostante una storia dal profondo potenziale emotivo, “My Policeman” risulta una narrazione fiacca a causa di un approccio troppo convenzionale e una regia priva di audacia. Gli elementi giusti sembravano esserci: la star del momento, Harry Styles, che si cimenta in un drammatico racconto queer sulle passioni e sulle apparenze, sulle menzogne e sulle maschere identitarie che la società ci spinge a costruire. Ma, in definitiva, la promessa di un amore travolgente si infrange contro la debolezza della sua stessa resa.
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