di Redazione NCI
Tutti sanno chi sia José Mourinho, e cosa ha fatto in passato. Lo “Special One”, così chiamato dall’approdo al Chelsea nel 2004, dopo aver vinto con il Porto una Europa League e una Champions League, è uno degli allenatori più vincenti della storia. Per chi invece ancora non lo conoscesse, facciamo il punto della situazione.
Chi è José Mourinho
Nella sua lunga carriera, il tecnico portoghese ha vinto tanto, e questo è ovviamente innegabile. Dopo i grandi traguardi sopracitati ottenuti con il Porto, il culmine della carriera lo ha avuto all’Inter nella stagione 2009-2010, nella quale si è aggiudicato il Treble con il club Nerazzurro. Dopo quella magnifica parentesi incisa nella memoria dei tifosi interisti, però, qualcosa è cambiato.
Al Real Madrid si aspettavano grandi cose da lui, grandi trionfi, ma nella realtà non andarono mai oltre i confini nazionali. Tornato in Inghilterra, sempre con il Chelsea, riuscì a tornare al successo, ma mai in Europa, mentre al Manchester United, la musica cambiò: infatti, Mourinho riuscì a vincere una Europa League, che è anche il suo ultimo trofeo.
La parentesi al Tottenham è stata molto deludente, sia perché non riuscì a vincere alcun titolo, e sia perché non riuscì mai a adattarsi nuovamente allo stile di gioco della Premier League, che dopo quasi un anno di assenza, era cambiata e non poco. Adesso la sua Roma sembra essere in crisi, e non sta generando i numeri sperati da Friedkin quando ha scelto di puntare su di lui. Ma perché José Mourinho è passato dall’essere lo “Special One”, a quello che oggi sembra essere la sua più oscura ombra? Cerchiamo di capirlo insieme.
José Mourinho, un grande motivatore e forse non altrettanto grande allenatore
È risaputo che il portoghese sia un grande motivatore, e lo si è visto praticamente dall’inizio della sua carriera al Porto. Vincere Europa League e Champions League in due stagioni, non è certamente roba da tutti, e chiaramente per farlo serve una grande squadra. O no?
In quel Porto di certo non mancava il talento, ma se quella squadra è riuscita a vincere la Coppa dalle grandi orecchie, e i Galácticos del fenomeno Ronaldo no, allora dietro c’è stato certamente un grandissimo lavoro di motivazione. E perché no, il lavoro di un buon allenatore.
Il tocco di uno dei migliori motivatori che il calcio abbia mai avuto, si è visto anche nella sua parentesi al Chelsea, e ovviamente all’Inter. È però cominciato a mancare dal Real Madrid, con il quale come già abbiamo detto, non fece proprio faville. Vinse soltanto un campionato spagnolo, una coppa di Spagna e una Supercoppa Nazionale in 1095 giorni. Non proprio quello che ci si aspettava da lui.
Al termine dell’avventura spagnola e al ritorno in Inghilterra, tra Chelsea, Manchester United e Tottenham, in 2315 giorni, riesce a vincere “soltanto”, per uno come lui, cinque trofei. Tra questi un campionato, due Coppe di Lega (Carabao Cup), una Community Shield e ovviamente l’Europa League di cui abbiamo parlato all’inizio.
Alla sua seconda avventura in Serie A, questa volta con la Roma, il tocco da motivatore sembra essere definitivamente andato perduto. Le più recenti dichiarazioni del tecnico, infatti, non sono proprio “d’amore” verso i suoi giocatori. Tra queste, di sicuro spiccano “È una stagione di dolore, non per pensare in grande e attaccare obiettivi”, e ovviamente “L’obiettivo è il quarto posto, ma non significa che siamo da quarto posto”. Una volta avrebbe fatto scudo con la sua personalità al gruppo squadra, ora invece sembra voler fare l’esatto opposto.
Il calcio è cambiato, ma non Mou
Negli ultimi undici anni (prendiamo come punto di riferimento il picco della carriera di Mou), il calcio è cambiato drasticamente. Sono cambiate le tattiche, sono cambiati i giocatori, e sono cambiati i modi di approcciare la squadra ad un match.
Però, a giudicare dall’analisi che abbiamo condotto, sembra che allo Special One questo sia sfuggito. Undici anni in termini calcistici sono un’eternità, durante la quale gli schemi e le “teorie” sviluppate precedentemente smettono di funzionare, e cadono in disuso per fare spazio a nuove concezioni di calcio. È quello che in un certo senso hanno fatto Julian Nagelsmann e Thomas Tuchel, che hanno dato al loro gioco un’impronta moderna.
Mourinho invece, è rimasto focalizzato sul suo stile, sulle sue idee, anche se ultimamente il suo concetto di “difesa di ferro” sembra essere svanito nel nulla, considerando le statistiche. Infatti, la Roma in 18 partite giocate in tutte le competizioni, ha subito 25 reti. Otto delle quali nei soli match di andata e ritorno con il Bodø/Glimt.
Che sia la fine dello Special One? Ormai i fatti parlano chiaro: se non si adeguerà al calcio moderno, sarà molto probabile che il caro José possa salutare il mondo del calcio prima del previsto. E ovviamente porterà con sé un rimorso non da poco.
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di Mattia Trincas
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