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Le microtransazioni danneggiano veramente i videogiochi? Ecco perché gli Stati europei vogliono abolirle

di Ascanio M. de Lorenzo

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Le microtransazioni sono da sempre un argomento di discussione all’interno del mondo dei videogiochi. In seguito agli ultimi avvenimenti, che mostrano diverse Nazioni intente ad abolirle, noi di NCR abbiamo deciso di fare un po’ di chiarezza. Vedremo quindi nel dettaglio cosa sono le microtransazioni e perché, ora come ora, possono essere definite dannose per l’universo videoludico…

Cosa sono le microtransazioni?

Quando parliamo di “microtransazione”, in ambito videoludico, indichiamo qualsiasi tipo di acquisto effettuato all’interno di un videogioco, che sia con soldi reali o convertiti in valuta virtuale dal gioco stesso. Queste sono, in gran parte, la fonte di guadagno principale per gli sviluppatori dei giochi free-to-play. Infatti, questi ultimi preferiscono non vendere il gioco ad un determinato prezzo, ma piuttosto sfruttare le microtransazioni, guadagnando sull’acquisto di semplici oggetti decorativi, ma anche pass speciali o piccoli bundle in offerta.

Si tratta quindi, in sostanza, di un sistema che permette di mantenere vivi interesse e popolarità di un gioco nel tempo, e che ha portato molte software house a ottenere profitti elevatissimi, oltre che ampio successo per il loro prodotto. Generalmente si tratta di cifre di denaro reale molto piccole per un singolo elemento speciale o bundle, ma che, se sommate per la gran quantità di giocatori online, creano cifre davvero cospicue. Facciamo subito un esempio, con dati alla mano, giusto per chiarire il fenomeno.

Quanto sono remunerative?

Per questo esempio utilizzeremo il famosissimo battle royale Fortnite. Epic Games ha riferito che nel 2019 si potevano contare circa 350 milioni di utenti registrati; ora, sono passati ben tre anni e possiamo affermare che sicuramente, questi numeri sono cresciuti. Portiamo così il numero a circa 400 milioni di utenti in tutto il mondo.

Il gioco offre uno speciale pass che si azzera ad ogni nuova stagione e contiene oggetti molto particolari; il costo è di circa 950 V-buck (moneta virtuale usata in gioco) che possono essere guadagnati giocando, oppure acquistati attraverso microtransazioni. Se supponiamo che almeno la metà dei giocatori attivi al mondo lo acquista tramite soldi reali, il compenso sarebbe pari a circa 200 milioni moltiplicati per 9€ (il prezzo di circa 950 V-buck), ovvero 2 miliardi di euro su per giù. Questo fa capire come “piccole” microtransazioni possano essere davvero remunerative per gli sviluppatori…

Questo successo ha poi portato molti editori a sostituirle ai soliti DLC o contenuti aggiuntivi. Il problema però è che, come sempre, a farne le spese sono i videogiocatori, che spesso e volentieri si ritrovano a spendere molti più soldi di quanti ne avrebbero investiti in un gioco “a pagamento” completo. Senza contare quando le microtransazioni vengono inserite a “tradimento” in giochi pagati a prezzo pieno e non free to play, aumentando a dismisura i guadagni delle case produttrici.

 

microtransazioni

Fortnite (@Shutterstock)

Perché sono pericolose?

La domanda che sorge spontanea però è “perché queste microtransazioni sono così pericolose, al punto di essere abolite in alcuni Stati?”. Potremmo rispondere usando semplicemente due parole: “dipendenza” e “frustrazione”. Ma è comunque importante capire il perché di queste soluzioni. Uno studio condotto nel 2020 dalla Gaming Health Alliance, e pubblicato dall’ente inglese Royal Society for Public Health, ha rivelato alcuni dati che potremmo definire quasi preoccupanti. Ecco di seguito alcune statistiche:

  • Un giovane su 10 si è indebitato per pagare le microtransazioni presenti nei giochi;
  • Nel 22% dei casi in cui un gioco contiene la possibilità di fare acquisti con valuta reale, i giocatori hanno speso in media almeno 100 sterline nello shop del gioco;
  • Il 15% dei casi analizzati ha “rubato” i soldi ai propri genitori per portare a termine la transazione;
  • Nel 9% dei casi analizzati, i soldi sono stati presi in prestito, ma erano consapevoli che non avrebbero potuto ripagare il debito contratto;
  • In tre casi sono stati gli stessi genitori a indebitarsi per pagare il debito, addirittura ipotecando la propria casa (ovviamente in casi estremi e isolati).

Dipendenza e frustrazione

La Gaming Health Alliance però, è voluta andare più a fondo nella vicenda, cercando di comprendere maggiormente anche il fenomeno delle loot box. Per chi non lo sapesse, le loot box sono dei contenuti digitali all’interno dei videogiochi, che i consumatori acquistano con denaro reale, ma che possiedono contenuto casuale; chi le acquista, quindi, non ha modo di sapere cosa contengono fino a quando non ha pagato per averle. Questo ha creato una vera e propria forma di dipendenza, scaturendo in un simil gioco d’azzardo.

Inoltre, le microtransazioni tendono a rovinare l’esperienza di gioco, poiché vengono sfruttate in molti giochi per creare una formula ludica Pay to Win. Di conseguenza, senza grossi investimenti, diventa impossibile competere adeguatamente con gli altri giocatori, come dimostrato dal recente Diablo Immortal per mobile. Questo scatena in molti giocatori un elevato senso di frustrazione, che in molti casi, sfocia anche in una sensazione molto vicina al sentirsi truffati dal gioco stesso…

Ora lasciamo a voi la parola. Cosa ne pensate delle microtransazioni? Siete a favore o a sfavore? Come sempre vi ricordiamo di continuare a seguire Nasce, Cresce, Respawna per rimanere sempre aggiornati su tutte le notizie provenienti dal mondo del gaming.

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