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L’evoluzione del veleno nelle prede e l’aposematismo, ovvero i colori come avvertimento

di Lorenzo Peratoner

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Vi siete mai chiesti perché e come si è evoluto il veleno nelle prede?  Questa è una domanda la cui risposta non è affatto scontata e fonte di continui studi e indagini da parte della comunità scientifica. Molte specie animali sviluppano determinati colori che fungono da deterrente per il predatore, ma se quest’ultimo mangiasse una preda tossica, portando alla morte di entrambe, come imparerebbe a stare alla larga da tale animale velenoso? Come riportato da Missionescienza, le teorie sono numerose e tutte collegate a un fenomeno di base, l’aposematismo.

Il fenomeno dell’aposematismo

Un concetto fondamentale di partenza è quello dell’aposematismo. Come già accennato in precedenza, un organismo è in grado di assumere un determinato segnale che funge da dissuasore per le razze predatorie. Tale segnale può essere un odore, un suono, ma assai più spesso un colore. Pensate ad un’ape: il suo colore appariscente è il giallo, che risalta con il contrasto dello sfondo nero. Un altro esempio è la vedova nera, i cui colori sono il rosso e il nero. Si evincono quindi quelle che sono le colorazioni aposematiche più comuni: giallo, arancione, rosso e azzurro. Ovviamente questo fenomeno è frutto di un lungo processo di selezione, e una volta che un predatore si imbatte in uno di questi colori, sa bene che avrà a che fare o con un animale tossico, oppure con un pasto dal sapore molto sgradevole. Risultato? Tende a starsene lontano.

Il paradosso dell’aposematismo

Tuttavia, se immaginassimo di andare indietro nel tempo a quando alcuni animali iniziarono per primi a sviluppare questi colori appariscenti, essi non potevano di certo avere vita facile, a causa della maggiore visibilità. I predatori, infatti, non ancora consci della loro tossicità, sfrutterebbero questa mutazione dell’aposematismo per cibarsi con maggiore facilità. Dal punto di vista evolutivo, quindi, avverrebbe un’eliminazione del tratto prima ancora che i predatori imparino a evitarlo. Si tratta del paradosso dell’aposematismo. Le teorie che cercano di spiegare il fenomeno sono numerose, e non si escludono necessariamente, anzi, potrebbero coesistere nel medesimo ecosistema. Vediamo quali sono…

Teoria 1

Partendo dal presupposto che molti animali sono tossici a causa della loro alimentazione, potrebbe avvenire che una preda mangi una pianta velenosa, senza portare alla morte dell’animale, che, anzi, diverrebbe tossico a sua volta. Con il tempo, se tutta la popolazione della stessa razza si nutrisse di tale pianta, maturerebbe una tossicità, e, probabilmente, svilupperebbe un colore aposematico. Di conseguenza, i predatori imparerebbero progressivamente a starne alla larga.

Teoria 2

Esistono dei veleni che risultano essere estremamente tossici non solo per i predatori, ma anche per le prede stesse. Queste ultime quindi confinerebbero le tossine in luoghi del loro corpo lontani dagli organi vitali, ad esempio nell’epidermide, portando a una variazione cromatica. Questa trasformazione andrebbe a loro vantaggio, in quanto i predatori, come dimostrato da diversi esperimenti scientifici, sono abitudinari e conservatori nelle loro preferenze alimentari. Con il tempo, quindi, gli animali dai colori sgargianti aumenterebbero di numero, perché non predati a differenza degli individui con i colori “normali”, cibo prediletto dai predatori, recalcitranti nel cambiare le loro abitudini. Si pensa, infatti, che ci siano proprio dei meccanismi genetici che smorzano in molti animali la voglia di mangiare animali aposematici.

Teoria 3

Questa teoria ha a che fare con la genetica e la sessualità, in quanto il gene responsabile dell’aposematismo, negli animali tossici, potrebbe essere recessivo e trovarsi nel cromosoma X. I maschi XY sarebbero in grado di sfoggiare le loro tinte vistose, in attesa che la riproduzione con la femmina, che preferisce i colori sgargianti, possa portare a delle proli con i medesimi colori.

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