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La meravigliosa storia di Henry Sugar, la recensione: l’arte dell’inganno secondo Wes Anderson

di Filippo D'Agostino

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Disponibile da mercoledì 27 settembre 2023 su Netflix, “La meravigliosa storia di Henry Sugar” è un mediometraggio comedy scritto e diretto da Wes Anderson. Nel cast troviamo: Benedict Cumberbatch, Ben Kingsley, Ralph Fiennes, Dev Patel, Richard Ayoade e Rupert Friend.

Dopo il successo riscosso con “Asteroid City” (che arriverà in Italia il prossimo 28 settembre), il regista statunitense non ha perso tempo nel regalare al suo affezionato pubblico un nuovo capolavoro. Con “La straordinaria storia di Henry Sugar“, presentato in anteprima alla 80ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Wes Anderson porta sul piccolo schermo il suo secondo adattamento tratto dai romanzi di Roald Dahl, seguendo l’ormai leggendario successo ottenuto con “Fantastic Mr. Fox“.

La meravigliosa storia di Henry Sugar, la trama

Henry Sugar aveva 41 anni ed era scapolo e ricco. Era ricco perché aveva un padre ricco, ormai defunto, era scapolo perché troppo egoista per condividere i suoi soldi con una moglie. Era altro un metro e ottantotto e forse non avvenente quanto pensava di essere, ma metteva grande cura nel vestire. Andava da un sarto costoso per i suoi abiti, da un camiciaio per le camice, da un calzolaio per le scarpe. Il suo barbiere gli tagliava i capelli ogni dieci giorni e allo stesso tempo si faceva sempre fare la manicure. Guidava una Ferrari che gli era costata all’incirca quanto un cottage di campagna. Tutti i suoi amici erano ricchi e non aveva mai lavorato in vita sua”. E con questa breve introduzione, Wes Anderson ci accoglie nel mondo idilliaco creato da Roald Dahl nel lontano 1977, con un dialogo presentato direttamente dal creatore dello scritto interpretato da Ralph Fiennes.

Ma prima di addentrarci nell’incontro con il protagonista scapolo interpretato da Benedict Cumberbatch, il regista ci porta indietro nel tempo, nella città di Calcutta. Qui, un uomo, interpretato da Ben Kingsley, si reca in un ospedale per dimostrare al primario e ai medici la sua straordinaria capacità di vedere senza l’uso degli occhi. La sua performance suscita stupore tra i medici e introduce un elemento di rottura della quarta parete, che sarà centrale per gran parte della narrazione e dei dialoghi. Il personaggio di Kingsley spiega che questa incredibile abilità è il risultato di anni di duro allenamento. E molti anni dopo, sarà Henry Sugar a scoprire questa straordinaria capacità attraverso un quaderno. Spinto dal suo narcisismo, Henry intuisce subito le potenzialità di questa abilità nel contesto del gioco d’azzardo, vedendola come “l’arte dell’inganno” per arricchirsi ulteriormente.

The Wonderful Story of Henry Sugar

Wes Anderson è l’unico discepolo perfetto di Roald Dahl

Quest’anno è stato indubbiamente ricco di grandi trionfi per Wes Anderson. Tutto è iniziato a maggio con l’uscita del suo film “Asteroid City,” che ha ricevuto un’accoglienza entusiastica al Festival di Cannes. Successivamente, il film ha ottenuto un notevole successo commerciale al botteghino. Anderson ha poi fatto il suo ingresso in Europa con la presentazione fuori concorso del mediometraggio “La Meravigliosa Storia di Henry Sugar” all’ottantesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, consolidando ulteriormente il suo status di regista di fama internazionale.

Con il suo più recente progetto per il piccolo schermo su Netflix, Wes Anderson ci regala un film che incarna in modo esemplare il suo stile. “La Meravigliosa Storia di Henry Sugar” rappresenta un vero e proprio scrigno narrativo, con una stratificazione delle storie sapientemente equilibrata. Arricchita poi da pause e necessità narrative che coinvolgono lo spettatore senza sforzarlo. Inoltre, Anderson utilizza con maestria una rottura della quarta parete che interviene più volte. Questo crea una dinamica intrigante che rompe l’equilibrio dei dialoghi in modo sorprendente.

The Wonderful Story of Henry Sugar

Parlando di Anderson, è evidente, anche se questa è soltanto la sua seconda incursione nel mondo delle opere di Dahl, come il regista sia il “prescelto” per portare in vita gli scritti dell’autore. In soli 40 minuti di visione, Anderson dimostra di essere capace di offrirci una trasposizione fedele e rispettosa delle opere di Dahl. Un risultato notevole considerando le deludenti produzioni cinematografiche basate sui suoi lavori arrivate in sala negli ultimi anni. Anderson apporta uno stile qualitativo e una direzione impeccabile, che si adatta perfettamente e in modo naturale allo stile descrittivo del leggendario scrittore britannico, dimostrando ancora una volta di essere l’interprete ideale per le opere di Dahl.

Wes Anderson nel massimo del suo immaginario

Il mediometraggio presentato da Anderson può essere paragonato a una serie di scatole cinesi, che frazionano la narrazione in varie parti. Con questa tecnica, Wes Anderson offre un’ulteriore prova della sua abilità nella creazione di narrazioni complesse e stratificate. La pellicola ci conduce in una visione di alta qualità del regista, offrendoci un’affascinante incursione nella sua mente attraverso una straordinaria composizione creativa di colori all’interno delle sequenze. E come spesso accade con Anderson, ogni elemento visivo sembra attentamente curato e nulla è lasciato al caso. Ma nella trasposizione del racconto di Dahl, riesce a portarci ancora più profondamente nel suo mondo, attraverso un uso straordinariamente raffinato e sorprendente dei colori.

A testimoniarlo è proprio l’uso delle scenografie, che si muovono dinamicamente sullo schermo, quasi come se fossero parte di uno spettacolo teatrale in cui vengono spostate da un lato all’altro, alzate o persino perfezionate da qualche scenografo che interviene brevemente, anche solo per pochi secondi. Un’evoluzione mentale per il regista, soprattutto se la confrontiamo con il formato che Anderson aveva precedentemente utilizzato, come nel caso di “Grand Budapest Hotel,” dove aveva già lasciato il segno nel panorama cinematografico. Qui però Anderson ci offre una dimostrazione convincente di come la messa in scena costituisca il cuore pulsante della sua arte, spesso persino più rilevante degli attori e della sceneggiatura.

The Wonderful Story of Henry Sugar

La meravigliosa storia di Henry Sugar meritava di essere solo un mediometraggio?

Quando il progetto Netflix con il marchio di Wes Anderson è stato annunciato attraverso i principali mezzi d’informazione, l’entusiasmo dei fan per il ritorno di Anderson con una sceneggiatura basata sui capolavori di Dahl ha toccato le stelle. “Fantastic Mr. Fox” è indubbiamente un capolavoro, non solo nel campo dei progetti in stop-motion, ma lo dimostra anche l’affetto dei fan del regista statunitense, che elevano il film animato tra i migliori nella filmografia di Anderson.

E la recente notizia che “La meravigliosa storia di Henry Sugar” sarebbe stato solo un mediometraggio ha sicuramente deluso i fan. Tuttavia, Anderson è riuscito a offrire una narrazione completa, senza trascurare alcun dettaglio, per accontentare gli appassionati di Dahl. Ma dato che il progetto Netflix fa parte di un’antologia di racconti, sarebbe stata una scelta potenzialmente più intelligente unire questa produzione con i prossimi cortometraggi in arrivo su Netflix nei prossimi giorni: “Poison,” “The Swan,” e “The Rat Catcher.” E proprio questo avrebbe permesso agli spettatori di sperimentare una narrazione unificata, nonostante la perfezione intrinseca del primo racconto.

The Wonderful Story of Henry Sugar

Considerazioni finali su La meravigliosa storia di Henry Sugar

Con “La meravigliosa storia di Henry Sugar,” Wes Anderson continua a confermarsi come uno dei registi più talentuosi in circolazione, anche se si tratta solamente di un mediometraggio. Questo progetto si distingue per la sua maturità artistica e tecnica, evidenziata in modo particolare dalle scenografie impeccabili e dall’elevato livello di abilità tecnica che lo caratterizzano.

Pro

  • La narrazione divisa in parti totalmente separate è perfettamente equilibrata e per nulla forzata.
  • Il lato tecnico mostra un Wes Anderson molto più maturo e disperso nel suo incredibile mondo idilliaco.
  • Le scenografie della maggior parte delle scene sono le vere protagoniste del mediometraggio e riescono a colpire lo spettatore incantandolo.
  • La rottura della quarta parete è un ottimo modo per sviare la narrazione.

Contro

  • Nessuno: ma nonostante in soli 40 minuti Wes Anderson sia riuscito a trasporre perfettamente il romanzo di Roald Dahl, è sicuramente un’occasione sprecata non aver potuto avere un lungometraggio da portare sul grande schermo.

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