Come ogni anno, anche per il 2022 l’azienda svizzera IQAir, che si occupa del monitoraggio della qualità dell’aria, ha rilasciato il report sull’inquinamento atmosferico globale; i risultati, purtroppo, non sono affatto lusinghieri, dipingendo un quadro che, al netto di qualche miglioramento, richiede ancora molto sforzo per farlo rientrare entro parametri accettabili. Vediamo quindi i dettagli, secondo quanto riportato da IQAir.
Partiamo da un dato chiave, che da solo è già sufficiente per descrivere la situazione globale: su 131 Paesi analizzati, solo 13, tra Nazioni e territori, presentavano una quantità di PM2.5 ritenuta “sana”; il criterio adottato da IQAir, infatti, si basa sulle indicazioni della World Health Organization (WHO) del 2021, i quali riportavano che una concentrazione di PM2.5 inferiore ai 5 microgrammi per metro cubo è considerabile accettabile.
Il PM2.5 è un particolato estremamente piccolo (pari o inferiore ai 2,5 micron), ma che proprio per questo motivo è uno dei più pericolosi; la sua capacità, infatti, di potersi inserire all’interno degli alveoli polmonari e quindi potenzialmente nel sangue, è causa di insorgenza di malattie respiratorie e cardiache, finanche di cancro. Secondo il report, ogni anno muoiono circa 6 milioni di persone per complicanze o malattie direttamente correlate al particolato.
Le attività antropiche che determinano la dispersione delle polveri sottili sono quelle legate ai trasporti e all’industria, settori in cui vi è una combustione per generare energia; tuttavia non bisogna affatto sottovalutare anche gli incendi boschivi, che possono incidere pesantemente sulla qualità dell’aria di zone più o meno ampie.
131 Paesi, 7.323 località, 30.000 stazioni di monitoraggio dell’aria; questi sono i numeri che hanno permesso a IQAir di creare una profilo sull’inquinamento lungo tutti i continenti. I Paesi che presentano dei dati che rientrano nella soglia posta dal WHO sono solamente sei: Australia, Estonia, Finlandia, Grenada, Islanda e Nuova Zelanda; a questi si aggiungono sette territori, nel Pacifico e nei Caraibi, che registrano dei dati simili. Le conclusioni che ha tratto IQAir è che le realtà più virtuose sono tali perché, tra le varie cause, stanno compiendo maggiori sforzi per abbandonare le fonti fossili in favore di quelle rinnovabili.
Al contrario, i sei Paesi che registrano il record negativo in tutto il mondo sono i seguenti, dal peggiore al “migliore”: Chad, Iraq, Pakistan, Bahrain, Bangladesh. Una tendenza generale, sottolineata da IQAir, è che quelle Nazioni che iniziano ad aumentare le stazioni di monitoraggio dell’aria raggiungono spesso le posizioni più basse della classifica, come avvenuto col Chad. La mancanza di infrastrutture in questo senso, o la loro scarsa efficacia, è uno dei principali ostacoli per un’indagine accurata sulla qualità dell’aria; il continente africano, infatti, risulta il più misterioso, perché solo 19 dei 54 Paesi che lo compongono avevano sufficienti stazioni di monitoraggio.
La disuguaglianza in ogni caso è evidente: l’Africa e l’Asia sono i continenti con i dati peggiori, sebbene anche il Vecchio Continente, a eccezione del nord, non presenti dati di cui vantarsi. L’Italia, tra i vari Paesi europei, non emerge affatto tra i migliori, risultando in posizione 52 su tutti i 131 Paesi analizzati.
Il report, riguardo il continente europeo, si sofferma tuttavia sull’Ucraina che, nonostante l’invasione, ha aumentato il numero di stazioni di monitoraggio dell’aria; inoltre risulta che, probabilmente a causa dell’emigrazione di milioni di ucraini dalla madrepatria, il livello generale dell’aria è aumentato, soprattutto nelle città.
Riguardo gli Stati Uniti i dati sembrano incoraggianti, anche come conseguenza del minore impatto degli incendi boschivi, assai più rilevanti nel 2021 rispetto al 2022.
Per chi volesse consultare in dettaglio il report sull’inquinamento, è possibile accedervi direttamente dal sito IQAir; ci auguriamo ovviamente che, tra un anno, quello del 2023 possa registrare l’avvio di un trend di miglioramento globale.
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