Qui, qualche giorno fa, vi abbiamo raccontato di uno dei misteri più famosi della nostra storia. Ovviamente, stiamo parlando del Triangolo delle Bermuda (linkiamo l’articolo che abbiamo proposto non molti giorni fa). Oggi, invece, parleremo di un altro mistero, forse meno conosciuto ma non meno inquietante, anzi. Spostandoci in terra russa, sugli Urali settentrionali, nell’oblast’ di Sverdlovsk. Oggi, vi racconteremo dell‘incidente del passo Djatlov, dove morirono 10 persone.
Siamo ad inizio Febbraio del 1959. Una decina di studenti e neolaureati, 8 uomini e 2 donne, si avventura per un’escursione con gli sci da fondo. A guidarli è Igor Djatlov, di 23 anni, neolaureato dell’Istituto Politecnico degli Urali, oggi conosciuta come Università federale degli Urali. L’obbiettivo della spedizione è molto semplice: raggiungere l’Otorten, attraverso uno dei percorsi più difficili, valutato terza categoria.
Questo non spaventa i nostri protagonisti, avendo molta esperienza, sia nelle lunghe escursioni che nelle spedizioni in montagna. Da qui in poi, i fatti narrati sono direttamente estrapolati dai diari e dalle macchine fotografiche rinvenute sul posto. Esse ci permettono di ricostruire i passi degli escursionisti fino al giorno prima dell’incidente. Ma andiamo per gradi.
L’1 Febbraio, il gruppo guidato da Igor comincia a percorrere il passo. Il loro obbiettivo si pensa fosse di attraversare il valico e accamparsi subito dopo per il giorno successivo. Questo però non avviene a causa del peggioramento delle condizioni climatiche, fino a sfociare in una vera e propria tempesta di neve.
L’inevitabile calo di visibilità non aiutò nell’orientamento del giovane gruppo, che si vide deviare verso Ovest, in direzione del monte Cholatčachl. Appena compreso l’errore commesso, decisero di fermarsi e montare l’accampamento, in attesa del miglioramento delle condizioni climatiche.
Nonostante gli accordi con la propria associazione sportiva, di comunicare il proprio status subito dopo il rientro a Vižaj, la città di partenza, qualcosa non va. La data limite per cui ci sarebbe dovuto essere un report, il 12 Febbraio, era passato senza alcun messaggio o contatto. Per l’associazione, la situazione era piuttosto normale: dopotutto, i ritardi non erano una novità.
Ma altri giorni passarono, e le famiglie degli escursionisti chiesero che fossero organizzati dei soccorsi. Il capo dell’istituto mandò il primo gruppo di soccorso, composto da studenti ed insegnanti volontari, il 20 Febbraio, 19 giorni dopo la loro partenza. A seguire, numerose spedizioni in collaborazione con polizia ed esercito, i quali autorizzarono l’uso di mezzi volanti, quali aerei ed elicotteri.
Finalmente, il 26 Febbraio, arrivano i primi progressi: viene rinvenuta la tenda abbandonata sul Cholatčachl. Quest’ultima venne trovata lacerata dall’interno e da lì si poteva seguire una serie di impronte, che duravano per circa 500 metri. Poi, nulla. Le impronte finivano nei pressi della foresta, vicino un grande cedro.
Non passò molto, quando proprio vicino al cedro, al limitare della foresta, furono rinvenuti i primi due corpi, in mutande, vicino ai resti di un fuoco. Poi, nel ritornare verso la tenda, altri tre corpi, a notevole distanza tra di loro (300, 480 e 630 metri dall’albero di cedro), ritrovati in pose che suggerivano la volontà nel ritornare verso la tenda.
La speranza per i quattro escursionisti mancanti, seppur fievole, si spense definitivamente quasi due mesi più tardi. Il 4 Maggio del ’59, vennero ritrovati sepolti sotto un metro e mezzo di neve, all’interno di una gola scavata da un torrente. A circa 500 metri dal cedro.
Subito dopo il ritrovamento dei primi 5 corpi, vennero fatti i primi esami medici: sui corpi venne rinvenuta solo una piccola frattura cranica, di certo non responsabile della morte dei giovani. A creare scompiglio, però, fu l’autopsia dei quattro corpi rinvenuti a Maggio.
3 su 4 dei corpi riportavano gravissime fratture toraciche, e il rimanente una grave frattura cranica. Secondo il dottor Boris Alekseevič Vozroždennyj, la forza richiesta per provocare fratture simili sarebbe dovuta essere equiparabile ad un incidente stradale. Inoltre, i corpi non mostravano ferite esterne, come fossero stati schiacciati da una forza interna fuori dal normale. In particolare, ad una delle due ragazze mancavano lingua, occhi e parte della mascella.
Inizialmente si suppose che gli indigeni Mansi avessero attaccato il gruppo di Igor Djatlov, ma nessuna di queste tesi combaciava con i dati rinvenuti. In realtà sia i traumi che la sparizione della lingua hanno una più logica spiegazione: la gola dove furono rinvenuti era più che profonda per provocare danni simili e l’intervallo di tempo trascorso tra la morte e il ritrovamento, favorirono la decomposizione delle parti organiche.
Qualcosa però non tornava comunque. Nonostante le temperature estremamente rigide, tra i -25 e -30 gradi, i corpi erano quasi completamente nudi. Una spiegazione di questo comportamento può essere ricercato nello spogliamento paradossale, che si presenta in circa il 25% dei morti per ipotermia. Esso si presenta nello stadio di passaggio tra la fase moderata alla fase critica di ipotermia, spingendo i soggetti in un grave stato di confusione e delirio, e a strappare i vestiti in una falsa sensazione di calore. Ma ancora più misterioso resta il punto veramente senza spiegazione.
Cosa li spinse a lacerare la tenda dall’interno e a fuggire nel gelo della tormenta esterna? Cosa può averli spaventati a tal punto? Questa domanda è probabilmente morta insieme ai poveri escursionisti, ma ovviamente negli anni ha favorito gli amanti del mistero, che hanno scomodato ogni sorta di fattore paranormale, dagli Yeti agli alieni. L’inchiesta dell’incidente del passo di Djatlov fu ufficialmente chiusa nel maggio del ’59, per mancanza di colpevoli.
Nel 2o14, lo statunitense Donnie Eichar presentò una nuova teoria, che spiegherebbe più parti della storia rimasta largamente non risolta. Secondo Eichar, infatti, il passo sarebbe stato flagellato da una tempesta perfetta. Un ipotetico uragano che colpisce la parte più vulnerabile di una regione, provocandone il massimo danno possibile. Da ciò, a causa della forma della montagna, si sarebbero sviluppati numerosi mini tornado.
Ciò spiegherebbe i gravi danni riportati dai corpi dei giovani. Ma non è tutto. Sempre secondo Eichar, la tempesta avrebbe creato una grande quantità di infrasuoni, portando gli escursionisti ad una progressiva perdita di sonno, mancanza di respiro e, infine, un grande panico.
Poco meno di due anni fa, la Procura generale della Regione di Sverdlosk chiuse il caso, sostanzialmente dando la colpa ad una valanga. A sostenere questa tesi, anche un articolo su Nature, pubblicato dai ricercatori Johan Gaume e Alexandre Puzrin, che potete trovare a questo link
Insomma, le spiegazioni arrivano frammentarie, e su quello che è successo si possono solo fare congetture. Chissà se un giorno riusciremo a venirne a capo completamente, dando onore ai morti di quel giorno. Solo dei ragazzi che hanno avuto il terribile onere di dare il proprio nome ad un grande mistero.
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