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Giornata della Memoria: la storia di Arpad Weisz, l’allenatore deportato ad Auschwitz

di Redazione NCI

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La Giornata della Memoria è molto più che una semplice ricorrenza; è un evento durante il quale tutto il mondo ricorda le sofferenze causate dall’odio e dalla malvagità umana. La barbarie compiute da fascisti e nazisti rappresentano il capitolo più nero della nostra storia, un argomento con cui oggi facciamo ancora fatica a confrontarci; si tratta infatti di un gigantesco scheletro nell’armadio che cerchiamo faticosamente di nascondere, ma è parte integrante della nostra storia e il ricordo costante è il modo migliore per impedire che certi orrori accadano di nuovo.

Oggi siamo molto fortunati ad avere testimonianze dirette di molti sopravvissuti all’Olocausto, ma purtroppo queste persone sono una piccola percentuale di tutti coloro che, per un motivo o per un altro, sono stati portati nei lager nazisti e non ne sono più usciti. Uno di questi si chiamava Arpad Weisz; era uno dei migliori allenatori di calcio del primo ‘900 ed è stato ucciso per via delle sue origini ebree… Andiamo quindi a scoprire di più sulla sua storia.

Per non dimenticare: Arpad Weisz, dal successo ad Auschwitz

Arpad Weisz nasce nel 1986 a Solt, in Ungheria, da una famiglia ebrea. Dopo aver combattuto nella Prima Guerra Mondiale si dedica alla sua più grande passione, il calcio, giocando prima nel suo Paese e poi in Italia, dove veste le maglie di Alessandria e Inter. Nel 1926 appende gli scarpini al chiodo e si siede per la prima volta su una panchina, quella dell’Alessandria; l’esperienza in Piemonte dura solo una stagione ma lo prepara per la sua prossima avventura: la panchina dell’Inter.

Con i nerazzurri vince un memorabile Scudetto nel 1930, grazie anche a un metodo di allenamento totalmente nuovo per il calcio italiano; personalizza i carichi di lavoro, cura la dieta dei suoi calciatori e osserva in prima persona i ragazzini delle giovanili, fra i quali ha il merito di scovare Giuseppe Meazza. Nel 1931 decide di lasciare l’Ambrosiana Inter (così chiamata per volere del regime fascista) e continua la sua carriera in Italia, nonostante il Governo non lo veda di buon occhio per via delle sue origini.

L’addio all’Inter e le altre esperienze in Italia

Successivamente Arpad Weisz si trasferisce a Bari e aiuta la squadra a raggiungere la salvezza in Serie A. L’anno dopo viene richiamato dall’Inter e torna per altre due stagioni sulla panchina dei meneghini, arrivando per due volte secondo in campionato; nel 1935 saluta definitivamente Milano e accetta l’offerta del Novara, militante in Serie B, ma ci rimane per soli sei mesi: dalla Serie A arriva infatti l’offerta del Bologna, a cui Weisz non può dire di no.

Sono gli anni migliori della sua carriera da allenatore: con la squadra rossoblù vince due Scudetti consecutivi fra il ’35 e il ’37, e conquista il prestigioso Trofeo Internazionale dell’Expo di Parigi, battendo il Chelsea in finale; diventò così il primo allenatore d’Italia a vincere due Scudetti con due squadre diverse, ed è considerato uno dei migliori al mondo. Ma sono periodi bui, sull’Europa spira il vento nero della guerra e nel ’38 arrivano le leggi razziali; viene così obbligato a lasciare l’Italia e scappa prima a Parigi e poi in Olanda, a Dordrecht.

La breve esperienza olandese e la morte di Weisz

Nei Paesi Bassi allena per qualche stagione la squadra della sua città fino al 1942, anno dell’arrivo dei nazisti. La famiglia di Weisz viene obbligata a portare la stella di Davide sul braccio e Arpad perde il suo lavoro di allenatore. Riesce a sopravvivere per qualche tempo ancora, ma nell’agosto di quell’anno vengono deportati lui, sua moglie Elena e i suoi due figli Roberto e Clara.

Il loro treno li conduce ad Auschwitz, dove solo lui viene selezionato per i lavori forzati. Dopo 15 mesi di fatiche nell’Alta Slesia, anche Arpad Weisz viene spedito nelle camere a gas del lager nel gennaio del ’44; la stessa sorte era toccata alla sua famiglia qualche tempo prima.

Arpad però, è solo un esempio dei tantissimi sportivi vittime della violenza nazista. Il suo nome e la sua storia rimarranno per sempre nella memoria di tutti gli appassionati di calcio; un grande uomo, un grande allenatore, privato della possibilità di praticare la propria passione, privato della vita.

 

memoria

Auschwitz (@Shutterstock)

 

La Redazione tutta di Nasce, Cresce, Ignora è sensibile all’argomento e invita tutti i lettori a riflettere, durante una ricorrenza tanto importante, sugli orrori che milioni di persone innocenti hanno vissuto. Per rimanere sempre aggiornato sulle news provenienti da tutto il mondo continua a seguirci su Nasce, Cresce, Calcia.

Di Alessandro Colepio e Gianluca Scognamiglio

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