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Covid, il cervello rischia un invecchiamento di 20 anni

di Lorenzo Scorsoni

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Un recente studio dell’Università di Cambridge, anticipato da New Scientist, riporterebbe un’interessante scoperta. L’infezione da Covid potrebbe portare ad una perdita di 10 punti di quoziente intellettivo nei sei mesi successivi alla positività.

Covid: invecchiamento cognitivo fino a 20 anni

Secondo lo studio, il Covid favorisce il declino cognitivo di chi lo contrae. Il virus interagisce con il cervello in diversi modi, anche passivamente: negli infetti vi è innanzitutto un’eccessiva risposta immunitaria, inoltre l’infezione causa micro emorragie e micro ischemie in diverse aeree neurali. Il declino cognitivo è paragonabile all’invecchiamento che il cervello subisce nella fascia di età compresa tra i 50 e i 70 anni; ulteriori studi cercheranno di capire la durata di questa perdita cognitiva, che fortunatamente non è permanente.

Lo studio: come si è svolto?

L’Università di Cambridge ha analizzato i test cognitivi eseguiti da 46 pazienti sei mesi dopo il ricovero. L’analisi consiste in un confronto con i risultati degli stessi esami proposti alla popolazione di controllo di 66mila individui. Osservando il responso, gli studiosi hanno riportato una riduzione nella velocità di elaborare informazioni e nella capacità di comprensione del linguaggio in tutti i pazienti che avevano contratto il Covid e ne sono guariti. Tra i consigli degli esperti vi è la consumazione di zucchero, in quanto ulteriori studi hanno dimostrato la sua efficacia nello stimolare attenzione e problem solving.

Covid

Covid (@Shutterstock)

Covid, lo studio dell’Imperial College London

Secondo le analisi di Adam Hampshire, dell’ICL, che si mostrano in accordo con i test di Cambridge, il problema del declino intellettivo interesserà molti pazienti. “Solo in Inghilterra 40.000 persone sono state in terapia intensiva per il Covid, questo significa che i deficit cognitivi post-Covid possono interessare nel mondo un ampio numero di persone“. Gli studi di Hampshire hanno portato i medesimi risultati dell’analisi sopracitata su un campione ancora più vasto, circa 80mila individui.

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