di Redazione NCI
Nonostante il bersaglio principale del covid-19 sia l’apparato respiratorio, non sono da sottovalutare gli effetti collaterali che la contrazione di tale patologia può destinare a svariate parti del nostro organismo. In particolare, in seguito a varie ricerche, si è riscontrato che il secondo target corporale favorito dal virus è l’apparato cardiovascolare. Una parte del corpo che, data la sua diramazione periferica, ha un’estrema influenza su grandi regioni che regolano la nostra fisiologia e condizionano la nostra esistenza.
Per questo, tra le conseguenze indirette e improbabili del contagio da Covid vi sono anche le alterazioni funzionali e strutturali dell’apparato genitale maschile e, nella fattispecie, del suo membro protagonista, il pene. Quest’ultimo, considerata la sua correlazione e dipendenza con l’apparato cardiovascolare, può, in seguito a infezione dell’organismo da SARS-CoV, subire le seguenti alterazioni:
– temporanea disfunzione erettile (momentanea incapacità d’erezione);
–provvisoria erezione involontaria di lunga durata (priapismo);
–accorciamento delle sue dimensioni (stimato fino a 4cm).
Covid-19, un problema a tuttotondo
La diminuzione della lunghezza del pene è, in ordine di tempo, l’ultima scoperta resa nota dalla comunità scientifica in merito ai disagi da long covid. Un uomo negli Stati Uniti ha per primo affermato il suo problema, rendendo pubblico il suo sfogo tramite un podcast.
“Quando sono uscito dall’ospedale – ha raccontato – ho avuto alcuni problemi di disfunzione erettile. Questi sono gradualmente migliorati con alcune cure mediche, ma sembrava che avessi un disturbo persistente. Il mio pene si è rimpicciolito, ho perso circa tre centimetri e mezzo e sono diventato decisamente meno dotato della media. Apparentemente ciò è dovuto a un danno vascolare e i medici sembrano pensare che probabilmente è permanente. So che questo potrebbe non avere importanza, ma il problema ha avuto un profondo impatto sulla mia autostima e la sfera sessuale”.
Dopo di lui, uno studio della University College London ha permesso di scoprire che 200 persone su 3400 analizzate hanno riportato lo stesso raro disturbo.
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di Gabriele Nostro
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