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Champions League, City e PSG: analisi di un fallimento costato quasi 4 miliardi

Quando il Guardiolismo fallisce in Champions

Ovviamente, sulla carta, sembra irreale che i migliori allenatori sulla piazza possano perdere match di questo livello, o semplicemente vedere il loro ideale di calcio, affermato e riaffermato, fallire. Eppure, è proprio quello che è successo al Manchester City di Pep Guardiola. Ma non solo.

Sì, perché se vogliamo fare un passo indietro, è dal lontano 2010 che il cosiddetto Guardiolismo ha, in un certo senso, perso la sua efficacia. Numeri alla mano, ben otto delle undici eliminazioni dalla Champions League sono arrivate contro squadre che hanno messo a segno diversi gol in periodi di tempo estremamente ristretti. E parliamo di 2010 perché è proprio nell’anno del Treble dell’Inter che Pep ha subìto la prima sconfitta, non solo sul campo, ma anche a livello morale.

Ed è a San Siro, il 20 aprile 2010, che l’Inter di Mourinho compie la prima impresa ai danni del tecnico catalano; prima pareggiando i conti dopo la rete di Pedro, e poi mettendo a segno due reti in circa 15 minuti. Nuovamente nel 2014, in quel ritorno di Bayern MonacoReal Madrid alle semifinali di Champions, i gol subiti furono ben tre, in soli 18 minuti. E ancora, solo l’anno successivo, nel 2015, le reti incassate dai bavaresi furono sempre tre, ma questa volta in 17 minuti. Però, sfortunatamente, le sconfitte arrivate in seguito a questi episodi, non sono finite.

Nel 2017, il Manchester City subì due reti in 8 minuti contro il Monaco; l’anno successivo (2018) ne subì tre in 19 minuti contro il Liverpool; nel 2019 ben due in 3 minuti contro il Tottenham; ancora, nel 2020 due in 8 minuti contro il Lione, e infine, quest’anno, tre in 6 minuti contro il Real Madrid. Un’evidenza impossibile da ignorare e che fa sorgere più di qualche perplessità.

Un problema “psicologico”

La spiegazione del perché ciò accade, è però più semplice di quanto non sembri. I giocatori di Guardiola sanno che, il loro obbiettivo, oltre a quello di vincere e di segnare, è quello di controllare il gioco. È chiaro però che, nella realtà, il gioco non sia completamente controllabile. Si sa, l’essere umano può sbagliare e, più la tensione è alta, più è probabile che accada. E come è ovvio che sia, in Champions League, come abbiamo più volte visto, anche un solo passaggio sbagliato può mandare all’aria una stagione straordinaria.

E in un certo senso è esattamente quello che è accaduto nelle ultime otto eliminazioni delle squadre guidate da Pep Guardiola. Un momento di blackout, che in seguito ad un vantaggio non ampio, come quello del City sul Real Madrid, può cambiare totalmente le sorti della partita. E quando questo accade, il perfetto castello eretto dall’ingegnere catalano crolla e con lui tutte le certezze e sicurezze della squadra.

Ovviamente la risposta a questo inconveniente può non essere immediata e, più tardi arriva, più la qualificazione può essere a rischio. Il Manchester City visto contro il Real, è entrato totalmente nel pallone dopo il primo gol di Rodrygo e non è stato in grado di impedire la seconda rete; questa è la dimostrazione che, senza un reale condottiero al di fuori dell’allenatore ex Bayern Monaco, serve qualcuno che con un guizzo risolva la partita.

Il City ha tantissimi giocatori di talento, anche grazie ai massicci investimenti della società sul mercato dal passaggio di proprietà nel 2008, che ad oggi, ammontano a 2,145 miliardi di euro. Ovviamente, in seguito alla costanza e alla fruttuosità (anche se non è stato sempre così) di questi investimenti, il club si ritrova oggi ad avere una rosa che tutto il mondo del calcio non può far altro che invidiare, ma manca qualcosa. Manca quell’attaccante che faccia la differenza. Gabriel Jesus non è abbastanza a quanto pare, e le alternative attualmente in rosa sono dei ripieghi per ovviare alla mancanza di un reale attaccante. Insomma, gli inglesi hanno bisogno di un vero centravanti e non di un falso nove, come detta la legge di Guardiola.

 

Pep Guardiola (@Shutterstock)

L’altra faccia della medaglia

Se è vero che il Guardiolismo ha questo difetto di progettazione, è anche vero che, se ad oggi è valso al tecnico che lo ha inventato la bellezza di 31 trofei in bacheca, qualcosa vorrà pur dire. Naturalmente, ci sono sempre state grandissime squadre al servizio del tecnico, che hanno senza alcun dubbio semplificato il suo incarico. Ma come è giusto che sia, bisogna anche tenere conto che, per quanto la squadra possa essere straordinaria di per sé, ha bisogno di un allenatore che la sappia gestire e guidare alla vittoria. Guardiola in questo, è sempre stato un maestro e probabilmente ciò è incontestabile.

Però, imporre le proprie idee durante un campionato, con ben 38 giornate a disposizione per rimediare ad eventuali errori, è un conto. È tutta un’altra faccenda se invece lo si fa in una competizione come la Champions League, dove, per quanto possano esserci match di ritorno, un errore può costare molto più della sconfitta.

E forse è proprio questo che manca a Pep per raggiungere il valhalla dei più grandi allenatori di sempre; il coraggio di non azzardare, quando è meno opportuno farlo. Basti pensare alla finale di Champions dello scorso anno, persa con il Chelsea. L’attacco schierato dal tecnico era tutto fuorché adeguato all’occasione, dato che né SterlingMahrez sono due punte. Anche la scelta di lasciare fuori Sergio Agüero si è rivelata decisamente discutibile, nonostante fosse reduce da un lungo periodo di stop a causa di un infortunio.

Probabilmente è proprio da quella finale persa, vuoi per sfortuna o per aver azzardato una formazione non adeguata al contesto, che Guardiola ha scelto di evitare esperimenti in fasi così avanzate della competizione. Ma c’è ancora qualcosa da rivedere: lo studio di possibili “piani b”.

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Mattia Trincas

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