Da qualche giorno è stato ufficializzata la notizia più sconvolgente di questo calciomercato: Cristiano Ronaldo è passato all’Al-Nassr, squadra capolista del campionato saudita. Il cinque volte Pallone d’Oro chiuderà con tutta probabilità la sua straordinaria carriera a Riyad, in un campionato minore ma dall’immensa disponibilità economica. Ronaldo guadagnerà, secondo Sky Sport, circa mezzo miliardo di dollari per due anni di contratto, divisi fra una parte fissa e altissimi introiti commerciali.
Il fuoriclasse portoghese è diventato il calciatore più pagato al mondo: dopo i problemi con lo United e la delusione ai Mondiali in Qatar, CR7 ha quindi deciso di smettere di giocare ai massimi livelli e di gustarsi gli ultimi anni da giocatore lontano dall’Europa del calcio che conta. Si può essere d’accordo o meno con la sua scelta, ma di certo non è stato CR7 il primo ad intraprendere questa strada.
È infatti una pratica comune già dagli anni ’70, quella di comprare giocatori famosi a fine carriera per alzare il livello e la visibilità del proprio campionato. I primi a farlo sono stati gli americani della NASL (ora MLS), seguiti negli ultimi anni dalla Cina, dal Giappone e dai Paesi arabi. Vediamo quindi i trasferimenti più sconvolgenti della storia del calcio.
Il primo club a compiere un’operazione di mercato del genere è una squadra americana, i New York Cosmos, oggi militante nella NISA, terzo livello del calcio negli USA. Nonostante oggi la squadra sia ben lontana dagli stadi dell’MLS, è a lei che si deve la crescita che questo sport ha avuto negli anni ’70/’80 negli States.
I Cosmos, infatti, si sono resi protagonisti di due incredibili colpi di mercato fra il 1975 e il 1977. Il primo ad arrivare è stato niente meno che Pelé, il Re del calcio tre volte campione del mondo, seguito dal tedesco Beckenbauer, due volte Pallone d’Oro col suo Bayern Monaco. In pratica il meglio che Sudamerica ed Europa potevano offrire, entrambi nella stessa squadra. Con loro arrivò anche Giorgio Chinaglia, attaccante italiano ex Lazio, che ovviamente fu oscurato da quei giganti. I due giocarono insieme solo nella stagione ’76-’77, dopodiché Pelé decise di appendere gli scarpini al chiodo. Bastò comunque un anno per alzare clamorosamente la copertura mediatica riservata al campionato americano, diventato poi meta di tanti campioni.
Uno di questi fu George Best, l’attaccante nordirlandese del Manchester United degli anni ’60, che nel 1968 vinse Champions League e Pallone d’Oro coi Red Devils. Il suo stile di vita e le dipendenze ne causarono la prematura decaduta, ma quando nel 1976 scelse di trasferirsi ai Los Angeles Aztecs godeva ancora della fama di “Quinto Beatle” e sex symbol dell’epoca. Anche se dentro il campo non lasciò il segno, le spiagge della California gli piacquero così tanto che deciderà di rimanerci anche più avanti, spostandosi agli Earthquakes di San José.
L’aumento dei capitali nel calcio americano e l’ammodernamento degli stadi a seguito dei Mondiali di USA ’94 permisero a molte squadre della neonata MLS di poter investire cifre enormi per convincere grandi giocatori a fine carriera a scegliere l’America come ultima avventura. Nell’ultimo decennio sbarcano negli Stati Uniti giocatori del calibro di Beckham, Henry, Drogba, Nesta, Kakà, Gerrard, Pirlo e Lampard.
Più recentemente è stato il turno di Ibrahimovic, Higuain, Matuidi, Chiellini e Gareth Bale. La visibilità portata da questi fenomeni ha aiutato tutto il calcio statunitense a svilupparsi: occhio alla New Generation di talenti a stelle e strisce.
Non è solo l’America a farla da padrone nel mercato degli “usati sicuri”. La Cina da qualche anno si è iniziata ad interessare al mondo del calcio in maniera attiva, non solamente tramite gli investimenti sui club ma anche portando visibilità al proprio campionato.
Non potendo competere con la forza attrattiva degli Stati Uniti, le società cinesi hanno dovuto puntare profili di livello inferiore. Sono quindi arrivati all’ombra della Grande Muraglia calciatori come Oscar, Bakambu, Hulk, Fellaini, Eder, Pellè e Hamsik. Magari non superstar di livello mondiale, ma ottimi giocatori che hanno alzato di molto il tasso tecnico del campionato.
Il governo cinese però negli ultimi periodi ha invertito la rotta, imponendo alle società un salary cap per i giocatori privi della cittadinanza. Un retrofront o solo una manovra per accentrare gli investimenti?
La Cina non è l’unico Paese dell’Estremo Oriente a puntare questo tipo di strategie di mercato. Ultimamente anche il Giappone ha accolto nel suo campionato due nomi del calibro di Andres Iniesta e Fernando Torres, che hanno scelto il Paese del Sol Levante per terminare la propria carriera.
I Paesi della penisola araba sono fra i più ricchi del mondo in termini di risorse petrolifere. Questa fortuna ha dato vita ad un élite sociale talmente ricca da poter finanziare direttamente la vita pubblica del proprio Stato.
Proprio questa ristretta cerchia di “nuovi sultani” ha visto le potenzialità di uno strumento di marketing potente come il calcio. Così è cominciata la fulminea ascesa dei club a gestione araba nel gotha del calcio europeo. I club controllati dai grandi magnati arabi hanno una disponibilità economica pressoché illimitata e funzionano proprio come un network. Molto spesso, infatti, uno stesso fondo possiede più squadre e le gestisce simultaneamente cercando di portarle al top.
Oltre alla massiccia dose di investimenti all’estero, il mondo arabo ha iniziato anche a far sentire la sua voce nel panorama calcistico internazionale. I Mondiali in Qatar sono stati un segnale forte, ma l’obiettivo è anche quello di rilanciare i campionati nazionali.
Negli ultimi anni abbiamo avuto l’esempio di Xavi e James Rodriguez: entrambi hanno scelto la lega qatariota. Il campionato saudita, invece, prima del colpo CR7 ha visto arrivare giocatori come Ighalo, Marega, Talisca e un tecnico del calibro di Rudi Garcia. La strada è ancora lunga ma l’arrivo di Cristiano Ronaldo potrebbe sbilanciare gli equilibri e mettere in luce un calcio da sempre lontano dai riflettori.
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