di Antonio Stiuso
Una diagnosi precoce potrebbe essere la soluzione per curare l’Alzheimer o almeno ritardarne lo sviluppo. Con l’avanzare della ricerca si è giunti ad uno studio che avrebbe scoperto delle tracce della malattia nel sangue, prima della comparsa dei sintomi, che sarebbero in grado predirla addirittura 17 anni prima che si manifesti.
Il morbo di Alzheimer
Il morbo di Alzheimer rappresenta il 50-80% dei casi di demenza, statistica che lo rende la forma più comune nel mondo; causa perdita della memoria e di altre abilità intellettuali ed è così grave da interferire con la vita quotidiana della persona che ne è affetta. È una malattia progressiva, che peggiora con il passare del tempo. Nelle sue fasi iniziali, infatti, la perdita di memoria è abbastanza leggera; in fase avanzata, però, le persone perdono completamente autonomia fino ad essere incapaci di portare avanti una semplice conversazione.
Chi soffre del morbo di Alzheimer vive in media otto anni dalla comparsa evidente dei sintomi; la sopravvivenza, però, può variare dai quattro ai venti anni, a seconda delle condizioni di salute del soggetto. Attualmente il morbo è incurabile ma esistono dei trattamenti che, anche se non possono fermarne la progressione, possono rallentarne il peggioramento e migliorare la qualità della vita delle persone. La ricerca si sta sforzando per trovare dei modi efficaci per curare la malattia o ritardarne l’insorgenza e un recente studio potrebbe finalmente aver trovato la soluzione.
Esami del sangue per la prevenzione
La diagnosi precoce di Alzheimer potrebbe essere la soluzione per ritardare la comparsa della malattia o addirittura evitarne lo sviluppo negli anni; questo è l’obiettivo di un nuovo studio, pubblicato sull’Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association che, cercando di individuarne le cause nel tentativo di prevenirlo, ha scoperto un sintomo nascosto nel sangue che potrebbe precedere i sintomi clinici di circa 17 anni. Lo studio è stato svolto analizzando il plasma sanguigno con l’intento di rintracciare dei potenziali marker di Alzheimer in un campione di soggetti, tra i 50 e i 75 anni, seguiti per oltre 17 anni. A tal fine sono stati selezionati 68 partecipanti a cui era stata diagnosticata la malattia di Alzheimer durante il follow-up di 17 anni e confrontati con quelli di 240 soggetti di controllo che non avevano questa diagnosi.
Lo studio ha rilevato un “misfolding” nel sangue, un ripiegamento in grado di rilevare la malattia molti anni prima che si verifichino i primi sintomi; con il progredire della malattia, infatti, il misfolding dei marker provoca dei depositi nel cervello, le cosiddette placche, che interrompono le funzioni cellulari. Inoltre i ricercatori hanno scoperto come la concentrazione della proteina della fibra gliale (GFAP) possa indicare la malattia fino a 17 anni prima della fase clinica. Combinando quindi il misfolding con i livelli di concentrazione della proteina GFAP, i ricercatori sono stati in grado di aumentare ulteriormente l’accuratezza del test prima che insorgano i primi sintomi della malattia.
Siamo vicini ad una svolta nella prevenzione di questa terribile malattia?
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