Un tempo le magliette da calcio presentavano soltanto i colori e i simboli della società sportiva a cui appartenevano, ed era malvisto qualunque tentativo di apporre sponsor sopra le divise, per difendere l’etica sportiva da aziende senza scrupoli. 50 anni fa però, l’8 gennaio del 1973, qualcosa cambiò…
Quel giorno, infatti, l’Eintracht Braunschweig prese una decisione senza precedenti; Günter Mast, presidente del noto marchio di liquori Jägermeister, si incontrò con i dirigenti della squadra tedesca per convincerli ad inserire uno sponsor sulla propria maglia. Il tutto in cambio di 100000 marchi, utili a rimpinguare le casse di una società economicamente in difficoltà. Fin qui tutto semplice, ma c’era un ostacolo apparentemente insormontabile; la DFB, la Federcalcio tedesca, vietava severamente la presenza di pubblicità di qualsiasi tipo sulle divise indossate dai giocatori.
Da qui la stravagante idea di cambiare il logo dell’Eintracht Braunschweig. Al posto del leone rosso, comparve infatti il cervo di Sant’Uberto, che fino al 1987 è stato il simbolo condiviso della squadra e dell’amaro. La maglia con il simbolo del Jägermeister debuttò il 24 marzo del 1973, in un match contro lo Schalke 04…
Dopo l’Eintracht Braunschweig altre squadre tedesche si adeguarono per “aggirare” il diktat della DFB. La stessa Federcalcio, di conseguenza, optò per liberalizzare la presenza di simboli pubblicitari sulle magliette.
Ma quando arrivarono i primi sponsor in Italia? “L’Udinese apre alle pubblicità“, così recitava un paragrafo sull’edizione de “La Stampa” del 9 ottobre 1978; questo è stato il primo caso in cui comparve il simbolo di un’industria sulla divisa dei calciatori nel Bel Paese. In questo caso però, non venne messo sulle magliette, dato che la FIGC lo vietava, bensì sui pantaloncini. Lo sponsor era l’azienda di proprietà del patron dei friulani, la “Gelati Sanson” .
Per vedere la prima pubblicità sulle magliette, bisogna attendere il 1979, quando il Perugia aveva bisogno di soldi per garantirsi il prestito dalla Juventus dell’attaccante Paolo Rossi, e quindi firmò un accordo con il Pastificio Ponte, che avrebbe coperto le spese in cambio della sponsorizzazione. La FIGC consentiva però soltanto l’esposizione di sponsor tecnici; come ha potuto quindi un pastificio industriale ritagliarsi uno spazio sulla maglia perugina? Semplicemente concedendo il marchio ad un’industria tessile creata ad hoc, gestita dal Perugia e dal Pastificio Ponte: la Ponte Sportswear. Ecco quindi l'”inganno” che ha iniziato a sbriciolare i divieti riguardo gli sponsor sulle maglie da calcio in Italia.
Oggi è normalissimo vedere sponsor sulle maglie, che nel caso di piccoli club riempiono quasi del tutto le divise dei giocatori. È però comunque interessante vedere come nel passato le pubblicità fossero quasi un tabù, relegate ai pannelli situati a bordo campo; da una parte questa rivoluzione ha portato grandi profitti alle società calcistiche, dall’altra però, forse, ha tolto un po’ del romanticismo che caratterizza lo sport più seguito in molte parti del mondo…
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