di Alice Casati
A partire dal 9 giugno è disponibile su Apple TV+ la miniserie thriller “The Crowded Room“, creata e scritta dal premio Oscar Akiva Goldsman. La serie, basata sul romanzo di Daniel Keyes “Una stanza piena di gente“, vedrà protagonista Tom Holland, affiancato da Amanda Seyfried. Nel cast troviamo anche Emmy Rossum, Will Chase, Sasha Lane, Christopher Abbott e Emma Laird.
Un complesso viaggio nella mente di un criminale
Nel 1979 il giovane Danny Sullivan è coinvolto in una sparatoria fuori dal Rockefeller Center, nella città di New York. Dopo l’arresto, sarà interrogato a più riprese da Rya Goodwin, detective intrepida e determinata incuriosita dalle dinamiche dell’accaduto e dallo stesso Danny. Ne emergerà un passato di sofferenza, di ombre e paure, ricco di svolte impreviste, colpi di scena, situazioni difficili e incontri centrati. Il legame con Rya lo porterà ad aprirsi sempre di più, arrivando a scoprire ed esplorare i meandri della sua mente e a dover affrontare una sconcertante verità.
Basato in parte sull’opera letteraria dell’autore statunitense Daniel Keyes “Una stanza piena di gente“, la serie si ispira al caso reale di Billy Milligan. La sua storia è di fondamentale importanza per la legge statunitense, in particolare per quanto riguarda l’incontro con la psicologia e le malattie mentali.
L’adattamento del protagonista di The Crowded Room
La serie analizza alcuni aspetti essenziali della biografia di Milligan, rivisitandone altri in modo più romanzato e, a tratti, edulcorato. Il crimine realmente commesso e il caso che ne è conseguito, infatti, sono stati molto più crudi di quanto visto in “The Crowded Room“. Se la scelta iniziale induce lo spettatore a una maggiore empatia nei confronti del protagonista, in questo caso Danny, lo sviluppo di tale visione porta in seguito a una deumanizzazione del personaggio. Quelle che sono le sue effettive colpe, infatti, finiscono per risultare legittimate indipendentemente dalla sua condizione e la conseguente sentenza del processo. La mancanza di realismo della vicenda risulta dunque, a lungo andare, un’arma a doppio taglio, che rende Danny soltanto vittima e non più carnefice e il suo stato quasi una mera aggiunta all’amarezza della sua vita.
Il personaggio di Danny/Billy, così sfaccettato e controverso nella vicenda realmente accaduta, ha qui una resa meno efficace del necessario. La complessità del suo caso è dovuta anche alla sua doppia natura di criminale e vittima di sé stesso, alla coesistenza in lui di innocenza e paura insieme a rabbia e follia. Danny si limita a essere arrestato per un crimine emotivamente giustificato dalla serie, il che, oltre a generare la problematica già trattata, conferisce al personaggio una maggiore superficialità.
Un ritmo sbilanciato per le scelte di trama
Un’altra scelta controversa della produzione riguarda proprio il fulcro della serie, ciò che ha conferito al caso Milligan la sua notorietà. Se basta una breve ricerca per scoprire tutti i dettagli sulla sua storia, la serie decide invece di lasciare nascosto proprio il suo punto di forza, rivelandolo solo a metà stagione. La scelta è inevitabilmente controproducente, nonché penalizzante per il ritmo della serie stessa. I primi episodi, infatti, hanno un effetto lento e scialbo e sembrano non avere una direzione. Le numerose digressioni atte a confondere lo spettatore sulle intenzioni della storia generano un prodotto inutilmente prolisso, che si concretizza troppo tardi per lo spessore del tema trattato.
La seconda metà risente infatti della flemma della prima, producendo l’effetto opposto: la necessità di analizzare il nucleo della questione è ridotta a una soluzione sbrigativa e in parte superficiale. La presa di coscienza, la scelta della strada da percorrere, il processo di accettazione, tutto è ridotto ad una risoluzione insufficiente per l’entità della questione. Ciò non fa che contribuire all’effetto di superficialità citato in precedenza.
L’incisività delle interpretazioni nel cast della serie
A compensare parzialmente questi problemi pensano le interpretazioni del cast, valide benché penalizzate dalla scrittura della serie. Davanti a tutti troviamo il protagonista, Danny Sullivan, interpretato da un non troppo convincente Tom Holland; colui che doveva rappresentare la punta di diamante di “The Crowded Room“, infatti, offre una buona interpretazione, tuttavia non sufficiente per lo spettro emotivo del suo personaggio. Il risultato non ottiene lo spessore e il coinvolgimento sperati, mantenendosi limitato ai propri propositi, senza eccedere. Coprotagonista è invece la dottoressa Rya Goodwin, interpretata da Amanda Seyfried; la sua interpretazione si presta bene al personaggio, forse più sotto l’aspetto professionale che sotto quello umano.
Tra i personaggi secondari è indubbiamente degna di nota l’ottima recitazione di Jason Isaacs, che interpreta l’inglese Jack Lamb, presenza fondamentale nella vita di Danny. Menzioniamo anche Emmy Rossum nel ruolo della madre di Danny, che interpreta in modo convincente anche nei momenti di maggiore enfasi.
I Beatles al centro della colonna sonora
Onnipresente nella serie è anche la canzone principale della colonna sonora, qui legata al messaggio della serie, quale Let it be dei Beatles. Un inno alla speranza, alla resistenza e al perdono, tematiche di per sé presenti in “The Crowded Room“, il testo invita a scorgere la luce nei momenti più bui, in qualsiasi forma essa possa presentarsi. Nel corso degli episodi la canzone si presenta in modo meno esplicito, ma la sua connessione con la storia si concretizza quando lo stesso Danny ne cita i versi: “When I find myself in times of trouble, Mother Mary comes to me“. Se per Paul McCartney, autore del testo, “Mother Mary” era la madre morta quando era giovane, apparsagli in sogno in un momento complicato della sua vita, per Danny è Rya, conosciuta durante il processo e rimastagli accanto anche quando la speranza sembrava ormai persa. La scelta di trasmettere un messaggio di salvezza e speranza con questa canzone si dimostra in linea con il tono e l’approccio della serie.
Considerazioni finali
“The Crowded Room” è una serie che riprende una storia realmente accaduta, narrata anche nel libro “Una stanza piena di gente“. Billy Gillman, protagonista della vicenda reale, è qui ribattezzato Danny Sullivan e interpretato da Tom Holland. La versione della serie, edulcorata al fine di una maggiore empatia nei suoi confronti, non ha solo effetti positivi: porta infatti a un appiattimento del personaggio, a una sua riduzione a mera vittima di un crimine emotivamente giustificato dalla storia, indipendentemente dal suo stato. A questo proposito si lega un’altra scelta discutibile della serie: la “rivelazione” del suo nucleo solo a metà degli episodi. La decisione porta a una diluizione del ritmo dei primi episodi, ricchi di digressioni anche superflue e sconclusionate, e a un’accelerazione di quello degli ultimi, che non analizzano la questione a dovere.
Le interpretazioni del cast sono valide benché penalizzate dalla scrittura della serie. La parte di Tom Holland, svolta piuttosto bene, non risulta sufficiente per il personaggio con cui si trova a raffrontarsi, di estrema complessità e varietà. Amanda Seyfried interpreta bene la parte della dottoressa Goodwin, così come i personaggi secondari, su tutti Jason Isaacs e Emmy Rossum. A fare da sfondo alle vicende troviamo, al centro della colonna sonora, la celeberrima “Let it be” dei Beatles, che si lega al tema della serie, al rapporto tra Danny e Rya e ai messaggi che si propone di trasmettere.
Pro
- L’idea di adattare una storia complessa e controversa come quella di Billy Milligan;
- Le interpretazioni del cast, valide in relazione ai ruoli che ricoprono…
Contro
- … ma spesso non abbastanza incisive per renderne la complessità psichica, soprattutto nel caso del protagonista;
- La scrittura del personaggio di Danny, irrealistico e ampiamente ridotto di complessità;
- La scelta di rivelare il fulcro della storia a metà della serie, che rallenta il ritmo dei primi episodi e accelera gli ultimi.
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