di Nasce Cresce Ignora
Oggi non è un San Valentino come tutti gli altri. Anzi, a dire il vero, San Valentino non è più lo stesso da 20 anni a questa parte per tutti gli amanti del ciclismo e non solo. Non è più lo stesso per tutte le persone che negli anni ’90 hanno potuto esultare alle imprese di un piccolo ragazzo di Cesena. Per tutti quelli che si sono uniti sotto un unico vessillo, una bandiera pirata che veleggiava sotto la spinta di milioni di appassionati. Oggi non è un San Valentino normale, perché è il 20esimo anniversario dalla scomparsa di Marco Pantani.
Pantani, l’eroe che probabilmente non ci meritavamo
Oggi non voglio rivangare una vicenda oscura e torbida, ancora irrisolta, come quella che avvolge la morte di Marco. Chi abbia orchestrato cosa, perché il nostro eroe sia stato messo in croce e alla gogna mediatica, come è possibile che sia stato abbandonato… sono questioni che oggi non voglio toccare. Non per mettere sotto al tappeto una vicenda terribile e che DEVE prima o poi venire a galla, con i nomi di tutti i colpevoli.
Ma perché, anche dopo decenni, ciò che rimane del cuore di un bambino che saltava in braccio al suo papà durante le scalate al Giro e al Tour del Pirata, non vuole nemmeno pensare a come sia finita. Vuole omaggiare un campione. Vuole piangere, sì, ma di gioia, nel ricordare l’eroe di un’intera nazione.
Sembrava un pulcino Marco, messo accanto ai giganti con cui doveva rivaleggiare, su tutti, per citarne uno, Jan Ullrich. Eppure lui saliva leggero, spingendo con una forza sproporzionata su quei pedali. Sembrava volasse, nato per andare forte, più forte di tutti gli altri, in salita.
Marco venne messo all’angolo più volte dalla vita, prima di riuscire ad arrivare nel posto che gli spettava, davanti a tutti. Dopo un 1994 sfolgorante, con imprese d’altri tempi e i primi podi nei grandi giri, nel 1995 due terribili incidenti ne misero fortemente a rischio la carriera agonistica. Le conseguenze furono importanti, tanto da avere una gamba più corta di quasi un centimetro rispetto all’altra, dopo i vari interventi. Ma questo non lo fermò, anzi. A testa bassa e con l’umiltà che lo caratterizzava, Pantani si rimise in sella e piano piano, con l’impegno ad affiancare il suo immenso talento, tornò il più forte di tutti.
Il 1998 fu l’anno della consacrazione: trionfo al Giro d’Italia e al Tour de France nello stesso anno. Qualcosa che non si vedeva, da parte di un italiano, dai tempi di Fausto Coppi e che, dal 1998, non si è più visto. Marco sfiancò attaccando praticamente su ogni salita del Giro i favoriti Tonkov e Zülle, avvantaggiati a cronometro, riuscendo a portare al traguardo finale la maglia rosa. Addirittura più straordinaria fu l’impresa al Tour, dove Ullrich sembrava un dio inattaccabile. Marco, nella “sua” salita, la tappa di Les Deux Alps, rifilò quasi 9 minuti al tedesco, ipotecando così la vittoria finale nonostante la forza del rivale a cronometro.
Qualcosa che non si vedeva da anni, e che, nel ciclismo moderno, probabilmente non vedremo più. Marco era tante cose: classe, forza, grinta, tenacia, talento, impegno. Lo scalatore perfetto, l’uomo dei miracoli, delle imprese impossibili. Per un’intera generazione di ragazzini, Pantani è stato qualcosa di difficilmente descrivibile ai più giovani. Un mito, un idolo al pari di altri grandi di quegli anni, come Schumacher o Valentino Rossi. Un vessillo attorno a cui unirci.
Elencare tutte le sue vittorie, descriverle minuziosamente, richiederebbe probabilmente una giornata intera. Ma Marco era più dei freddi numeri, delle statistiche. Era adrenalina pure, amore incondizionato, febbre folle. Era l’essenza stessa del ciclismo, l’anima più pura e vera dello sport.
Negli occhi e nel cuore avremo sempre un posto speciale, dedicato a Marco Pantani. Il Pirata della gente, di un intero Paese. Lo scalatore più forte ed entusiasmante di sempre. Termino questo omaggio con la sua impresa più bella e la sua frase più celebre: “Vado così forte in salita per abbreviare la mia agonia”. Ciao Marco. Grazie di tutto.
Articolo di Pietro Magnani
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