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True Detective: oltre il velo della prima stagione (PARTE 1)

di Redazione NCI

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True Detective è una serie TV ideata e scritta da Nic Pizzolatto, romanziere e produttore televisivo di origine italiana. La show segue tutt’ora un format antologico per il quale a ogni stagione vengono rinnovati sia i membri del cast che la trama: l’unico fil rouge che collega i tre cicli narrativi risiede nel genere noir d’appartenenza. All’interno dell’articolo ci soffermeremo esclusivamente sul primo, giacché le fila del racconto celano dettagli di vitale importanza, in grado certamente di arricchirne il contenuto.

Nello specifico, tratteremo alcuni passaggi dal punto di vista filosofico o dell’arcano e ci soffermeremo tanto sulla natura mitologica di certi elementi, quanto sui richiami letterari inerenti al genere weird. Quel che segue sarà intriso di spoiler, consigliamo dunque di recuperare le vicende di Rust Cohle Marty Hart prima di proseguire con la lettura. 

True Detective: in principio era il successo 

Nel gennaio del 2014 debuttò su HBO l’opera dello sceneggiatore americano e in breve tempo quest’ultima raggiunse lo stato di cult assoluto. Difatti, gli otto episodi che la compongono conquistarono tanto il pubblico quanto la critica: sull’aggregatore Rotten Tomatoes, l’esordio fece registrare un punteggio di 85 su 100 (65 recensioni), mentre su Metacritic, il risultato fu di 87 su 100 (41 recensioni).

Oltre agli ampi consensi, True Detective ottenne 5 riconoscimenti alla 66a edizione degli Emmy Awards, tra cui i premi per miglior regia a Cary Joji Fukunaga e miglior fotografia ad Adam Arkapaw (inerente alla puntata Cani Sciolti). In aggiunta a un comparto tecnico di alto livello, la creatura di Pizzolatto poté contare sulle eccezionali interpretazioni di Woody Harrelson e Matthew McConaughey, rispettivamente i produttori esecutivi dello show. 

True Detective

Sono tre gli archi temporali attraverso i quali viene dipanata la storia dei due investigatori: il 1995, il 2002 e infine il 2012. L’estenuante caccia al serial killer della Louisiana terrà occupati i protagonisti per ben diciassette anni, facendo emergere i lati oscuri di una terra omertosa. Mentre le indagini vacillano, le vite private s’intrecciano e vecchie ferite si riaprono. La ricerca del responsabile tramuterà ben presto in una lunga discesa agli inferi. 

Scena del crimine: la quercia

Ed è proprio dal 1995 che vogliamo partire con l’analisi, concentrandoci sul ritrovamento del cadavere di una giovane vittima. Al di sotto di un cielo livido, in corrispondenza di vasti campi e in prossimità di una grande quercia, risiede il corpo nudo ed esanime di Dora Lange. Inginocchiata, con le mani giunte e orribilmente martoriata, la malcapitata presenta una spirale dipinta sulla schiena, una corona con corna di cervo posta sopra il capo e delle bende sugli occhi. A rendere la scena del crimine ancor più atipica è la presenza di alcuni feticci disposti a forma piramidale tutto intorno.

True Detective

L’albero in questione fu venerato da molteplici civiltà e collegato strettamente sia alle attività sacrali che alla medicina. Tale specie, essenziale per i culti dei Druidi (autentiche immolazioni), divenne fondamentale per la popolazione celtica, giacché se ne serviva con lo scopo di interpretare o raffigurare il cosmo. In particolare, il tronco rappresentava la realtà fisica, le radici erano collegate ai mondi inferiori, mentre i rami protesi verso l’alto facevano riferimento a piani superiori (più in là della volta celeste). Di conseguenza, tale arbusto permetteva di avvicinarsi alla dimensione spirituale trascendendo la natura materica del creato.

Esaminando il quadro illustrato dal killer, è possibile cogliere il valore fortemente simbolico del sacrificio. Difatti, disporre la vittima di fronte al mastodontico vegetale e intenta a pregare, non designa una violenza ordinaria, bensì un rituale specifico influenzato da dottrine occulte. Lo stesso Rust, che ben comprende la natura deviante dell’atto, afferma: “Il suo corpo è una mappa d’amore parafiliaco”, ovvero un mix perverso di amore carnale, fantasie e pratiche vietate dalla società. 

Spirale

Il marchio disegnato sulla schiena della donna è strettamente connesso alla setta della Palude, nonché a Reggie Ledoux e a Childress. Esso allude da sempre alla fertilità e al potere del sole, così come alle proprietà rigeneranti della luna. Nondimeno è da accostare alla figura del labirinto: non a caso i capitoli di True Detective si soffermano tanto sul groviglio psichico dei personaggi, quanto sulle intricate scenografie naturali che caratterizzano le ambientazioni (Carcosa in particolare).

Da tenere in considerazione è il rapporto che intercorre tra il motivo citato e la Via Lattea. Codesta veniva sintetizzata iconograficamente come una duplice spirale ed esprimeva le nozioni di coscienza universale o di portale d’accesso a altre dimensioni, spesso raggiungibili mediante la dipartita. Il simbolo suggerisce altresì l’idea di un tempo ciclico costituito da iterati processi di morte/rinascita sostenuti da innumerevoli società antiche.

Nella fattispecie, la disamina appena fornita fungerà da chiave di volta per sviscerare i nuclei tematici di una narrazione sensibilmente ancorata alla teoria dell’eterno ritorno. 

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Corna di cervo 

Continuando col discorso, è possibile constatare come il fenomeno di perdita e rinnovamento del palco dell’animale sia asservito a una periodicità che la natura impartisce. Grazie a tali meccanismi e alla ramificazione verso l’alto delle appendici, il mammifero assume il valore allegorico di unione fra creato e firmamento.

In aggiunta, culture arcaiche credevano che il cervide accompagnasse le anime in direzione dell’altro mondo, oltre che a comparire nella cosmogonia. Non solo, in alcuni luoghi si riteneva che la creatura fosse diretta manifestazione sacrale del tempo: anch’essa è spesse volte correlata a metafore inerenti alla fertilità o al potere solare.

Proprio per questi motivi, in Grecia, la bestia era consacrata agli dei della luce e della purezza (Apollo e Atena). Per concludere, il cervo è associato anche al Mercurio alchemico, sostanza che fa da intermediario tra conscio e inconscio, permettendo all’Io profondo di manifestarsi. 

Bende e feticci

Le bende che coprono gli occhi di Dora Lange denotano una scarsa attenzione per le peculiarità del soggetto: indicativo di come quest’ultimo sia spogliato della propria unicità e sfruttato esclusivamente per un fine “superiore”.

Gli intrichi piramidali vengono definiti “reti del diavolo” o “trappole per uccelli” e, in termini strutturali, essi ricordano delle gabbie tridimensionali in cui stazionano dei fantocci dalle sembianze umanoidi. Oltre a rievocare le strenne delle feste carnevalesche importate in Louisiana dai primi coloni francesi (Martedì Grasso), i feticci condensano metaforicamente uno dei cardini della scrittura di True Detective: ovvero il circolo di dolore a cui sono soggiogate le vittime della setta della palude.

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Nella mente di Rusty 

Rust Cohle è senza dubbio uno dei caratteri più interessanti del panorama audiovisivo moderno. La penna di Pizzolatto approfondisce un’entità attanagliata incessantemente dal dolore: i ricordi sulla perdita della giovane figlia, il decesso del padre, la separazione dalla moglie e il ruolo da infiltrato svolto per conto della narcotici.

Non c’è da stupirsi quindi se le disamine del suddetto, per quanto lucide, possano apparire crudeli dal punto di vista esistenziale. Entreremo dunque nel merito, focalizzandoci su alcuni degli argomenti che l’ “esattore” affronta durante la prima puntata.   

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Cloaca, insignificanza e estinzione

“Le persone, qui attorno, è come se neanche sapessero che… che esiste un mondo là fuori. Potrebbero vivere anche sulla cazzo di luna […] Esiste un unico ghetto, Marty. Un’enorme cloaca che fluttua nello spazio”. Il detective texano pronuncia le frasi mentre è in auto col collega, in seguito allo studio svolto sul luogo del delitto. Le parole riportate corroborano sia una visione pessimista nei confronti dell’uomo, che una severa classificazione del mondo: giudicato come putrido e maleodorante.

“Siamo cose che si affannano nell’illusione di avere una coscienza. Questo incremento della reattività e delle esperienze sensoriali è programmato per darci l’assicurazione che ognuno di noi è importante. Quando invece siamo tutti insignificanti”. Da quanto citato si evince che secondo Rust, l’umanità è composta da burattini mossi erroneamente dalla coscienza, quest’ultima reputata come il passo falso che ha permesso il distacco dell’individuo da ciò che lo circonda.

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“E io credo che la cosa più onorevole per la nostra specie sia rifiutare la programmazione. Smetterla di riprodurci. Procedere mano nella mano verso l’estinzione. Un’ultima mezzanotte, in cui fratelli e sorelle rinunciano a un trattamento iniquo”. L’idea dell’investigatore è quella di respingere la programmazione approcciando in maniera disincantata le circostanze, di modo che si possano governare senza rischiare di essere inglobati. In aggiunta, egli condanna coloro che valutano la vita come qualcosa di più di un semplice passaggio, poiché tale concezione rappresenterebbe la reale piaga che macera una collettività perennemente vincolata a una dimensione illusoria.

Una psicosfera di alluminio e cenere 

Questo posto mi lascia un sapore cattivo, di alluminio e cenere. Sento l’odore della psicosfera”. Le battute che chiudono il memorabile dialogo consentono di sviscerare la duplicità del medesimo tema. In particolare, per sviluppare la nozione di psicosfera è necessario chiamare in causa Carl Jung, una delle principali figure del pensiero psicoanalitico.

Infatti, secondo la teoria dell’inconscio collettivo elaborata dal sunnominato, esistono degli elementi comuni condivisi da tutta l’umanità che configurano una sorta di eredità psichica. Si tratterebbe di un “contenitoredi significati che desumiamo come gruppo sociale e che, secondo quanto scritto, influenzerebbe tanto il comportamento quanto le emozioni a noi familiari. In conclusione, quest’aura misterica costringerebbe i soggetti a rispondere a idee, miti e simboli affini. Il nichilismo di Cohle è talmente radicato da mal sopportare non solo l’essere razionale, ma perfino la “sfera di pensieri” a cui attinge.

Parallelamente a ciò, è il mondo di True Detective a lasciare l’amaro in bocca. Lo scenario infernale inquadrato da Fukunaga rispecchia il pensiero leopardiano secondo cui la natura non sarebbe madre, bensì matrigna. Gli acquitrini sommergono poco a poco la terra circostante, le erbacce stritolano le baracche delle piccole comunità lungo la costa e, mentre le panoramiche fluttuano su sobborghi fatiscenti o impianti industriali, gli alberi lacerati dall’uragano Rita si arrendono al cospetto di un cielo nero quanto il carbone. Il paesaggio si mostra indifferente alle sofferenze dell’uomo, reputato come ingranaggio del ciclo di produzione e distruzione. 

Già dalle prime sequenze è possibile apprezzare sia la qualità tecnica del prodotto che le proprietà di scrittura dello showrunner, certamente in grado di sublimare la narrazione a più riprese. Da Immanuel Kant si passa al compendio delle definizioni di Thomas Ligotti (La cospirazione contro la razza umana), sapientemente racchiuse in un connubio di dissertazione e racconto.

True Detective  

Il sogno in una stanza 

In coda alla terza puntata di True Detective, spunta un’immagine che rafforza la prospettiva di “Crash” sul genere umano, considerabile come prosecuzione logica delle teorie vagliate nel paragrafo precedente. 

Alla fine, non devi aggrapparti così forte per capire che tutta la tua vita, tutto il tuo amore, il tuo odio, la tua memoria, il tuo dolore, erano la stessa cosa. Erano semplicemente un sogno. Un sogno che si è svolto in una stanza sprangata. E grazie al quale hai pensato di essere… una persona”. Il nichilista identifica i viventi come spazi vuoti in balia di cause immateriali, soprasensibili. A suo modo di vedere non siamo altro che futilità ascritte al nulla cosmico, eternamente raggirate dall’ “ottusa volontà”.

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Il velo

La concezione di Rust può essere annoverata tra le teorie di Schopenhauer: in particolare a quella del “velo di Maya”. Infatti, il filosofo parte dagli scritti vedisti per illustrare l’incompletezza della realtà fenomenica, nonché apparenza che si esterna attraverso le forme a priori di spazio, tempo e causalità. Pertanto, ci si riferisce alla rappresentazione in qualità d’inganno e alla vita in quanto a sogno.

Tuttavia, al di là di esse, esiste una realtà effettiva sulla quale l’uomo deve interrogarsi. In tal senso il noumeno diviene praticabile per Schopenhauer, anzi, è necessario che l’uomo vi acceda per comprendere l’essenza delle cose. L’unico modo per riuscirci però, è squarciare il velo, andare oltre la nebbia del mondo fenomenico utilizzando il proprio corpo come chiave di accesso alla volontà. Il soliloquio è esemplificativo per spiegare come siano le dottrine del filosofo tedesco, in concomitanza con quelle di Nietzsche, a sostenere la maggior parte dei discorsi di Rust all’interno di True Detective.

Ma non solo, a quest’ultimi viene donata una gran forza proveniente dal linguaggio visivo di Fukunaga. Egli scorta le parole del protagonista attraverso attimi di effimera serenità, montati mediante l’utilizzo del rallenti e delle dissolvenze incrociate. In questa maniera si assiste tanto a un riassunto (per immagini) delle tesi appena discusse, quanto a un avvaloramento delle nozioni di tempo e labilità a esso connesse. 

Grazie dell’attenzione! V’invito alla lettura del proseguimento sulle pagine di NCS.

Di Gianluca Panarelli

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