Se il cinema racconta storie da guardare e i videogiochi storie da giocare, cosa succede quando questi media si sovrappongono? Negli ultimi anni, alcuni titoli hanno superato la soglia del videogioco tradizionale, per diventare vere e proprie opere cinematografiche. Ma a quale prezzo?
La spettacolarizzazione della scenografia, la scelta accurata del casting e soprattutto una recitazione di qualità degli attori stessi, sono tutte caratteristiche complici di questa lenta rivoluzione. Ci ritroviamo quindi davanti a prodotti non solo graficamente impressionanti, ma anche in grado di suscitare delle reazioni forti per chi li gioca.
Eppure, una parte della community guarda con sospetto a questa svolta. Infatti, molti criticano le scelte di alcune case produttrici, accusandole di dare troppa importanza alla storia, quasi trasformando il gioco stesso in un “film interattivo“. Ma a questo punto, una domanda sorge spontanea: stiamo quindi lentamente diventando solo spettatori? O forse è la normale direzione evolutiva dell’industria?
Senua’s Saga: Hellblade in un certo modo è un esempio emblematico della questione.
Siamo immediatamente catapultati negli eventi, vestendo i panni di Senua, una donna che soffre di psicosi, impegnata nel compito di ritrovare l’anima dell’amato ad Hellheim, il regno dei morti descritto all’interno della mitologia norrena.
Durante l’intero gioco, il giocatore sente tutto quello che percepisce la protagonista, incluse le voci nella sua testa, in maniera molto diretta. Senua, interpretata da Melina Juergens, non è una figura così astratta, come ci si aspetterebbe da un videogioco, ma incarna in maniera molto convincente un corpo, un volto e una voce umana, sfumando in un certo senso la distanza tra l’attrice stessa e il personaggio.
Ma ciò che lo rende davvero così cinematografico e spaventosamente reale è l’audio binaurale: le voci nella testa di Senua si muovono attorno al giocatore sussurrando, urlando e confondendolo. Insomma, una tecnica degna di qualsiasi thriller psicologico che si rispetti.
Ma ritornando al discorso di poco fa: quanto si gioca effettivamente? Beh, non poi così tanto, in realtà.
Diverse scene sono interamente “cutscenes”, quindi da “godersi” in silenzio. Il gameplay è effettivamente ridotto all’essenziale: percorsi molto lineari, combattimenti fluidi ma comunque coreografati e puzzle ambientali.
Alcuni critici lo hanno descritto come un “film interattivo”: bellissimo da vedere, ma povero di vero e proprio gameplay. Qui emerge in un certo senso il vero nodo della questione: cosa resta del videogioco in sé quando viene “sacrificata” l’interattività?
Non crediamo che Senua’s Saga: Hellblade possa rispondere esattamente a questa domanda, ma ci costringe a riflettere sul significato stesso dei videogiochi e su cosa siano, effettivamente.
Se quest’ultimo gioco effettivamente può essere considerato “cinema interattivo” da alcuni per aspetti come regia, estetica ed interpretazione, Alan Wake II lo è per struttura e linguaggio stesso.
Nel ruolo dell’agente FBI Saga Anderson, ma anche in quello del famoso scrittore Alan Wake, ci ritroviamo all’interno di un videogioco che sfida il confine tra realtà e finzione, introducendo elementi come filmati live action, talk show fittizi e videoclip musicali.
La storia è effettivamente un romanzo scritto da Wake, che si evolve man mano che il giocatore avanza. Il tempo narrativo in questo modo non è regolare, ma prevede flash-back e flash-forward, racchiusi all’interno di eventi frammentati.
Insomma, praticamente degno di un film di David Lynch.
Ogni scena è diretta con un’intenzione precisa, proprio come un film o una serie TV, i dettagli sono molto curati, soprattutto la camera in sé: come in Hellblade, segue i movimenti per costruire tensione. Sfrutta tagli di montaggio netti e improvvisi, inquadrature asimmetriche e il “chiaroscuro”, tutte tecniche utilizzate tantissimo nel cinema, soprattutto nel genere thriller o comunque di suspense.
Il confine tra cinema e videogiochi quindi non è più così netto: i due linguaggi si contaminano a vicenda, riscrivendosi, superandosi. I videogiochi infatti sono diventati in grado di “parlare” il linguaggio cinematografico, seppure a modo loro. Questo, però, può sacrificare aspetti cruciali come l’interattività, caratteristica principale dei videogiochi stessi. Pensandoci, risulta difficile però tracciare una vera e propria linea di confine tra questi due prodotti culturali: ma sono effettivamente così diversi? Certo, si tratta di un livello di partecipazione ben diversa per chi osserva o gioca, ma alla fine dei conti lo scopo è lo stesso: raccontare storie che arrivino al cuore delle persone.
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Articolo di Mirelli Emily
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