La prima stagione di “The Old Man” si chiude con il suo settimo episodio, lasciando ancora molti interrogativi attorno alle vicende di Dan Chase. Andiamo quindi ad analizzare insieme questo finale di stagione, tirando le fila di una sorprendente serie tv.
La prima stagione di “The Old Man” si chiude così come era cominciata, in un perfetto ritorno circolare. Al primo episodio, incentrato sulla figura solitaria di Dan Chase (Jeff Bridges), fa eco il settimo – nonché ultimo – al cui centro troviamo un uomo che è suo doppio e nemesi. Se la prima sequenza ci aveva portato nella routine di un anziano uomo americano, l’ultima dipinge le stesse azioni traslate nell’immagine della sua controparte, spostandosi dall’altra parte del mondo. Un parallelismo che, di fatto, fa da emblema al dualismo che caratterizza l’intera serie.
È un bilanciato gioco di specchi quello che mette a confronto i due vecchi (o dovremmo dire i due old men). Da una parte Dan Chase, ex agente della CIA che vive nell’ombra da più di trent’anni. Dall’altra Faraz Hamzad, signore della guerra afghano legato al primo da un passato comune. Un confronto, quello tra i due, la cui posta in gioco è ben più alta delle vicende a cui sono legati: uno scontro che, ancor prima di toccare le loro vicende personali, raffigura quello tra Oriente e Occidente, nel difficile rapporto tra il mondo arabo e la politica estera statunitense.
Prima toccare tali tematiche, punti chiave nella lettura della serie, sarà utile sciogliere l’intreccio della settima e ultima puntata. Dan Chase, costretto dopo decenni a tornare sul terreno di gioco, è intenzionato a chiudere una volta per tutte i conti con il proprio passato. Un passato misterioso che ci riporta in Afghanistan, in una partita in cui la spia ha giocato un ruolo fondamentale per le sorti di una guerra, così come per quelle del capopopolo Faraz Hamzad (Pej Vahdat) e sua moglie Belour (Leem Lubany).
Ad una coppia di personaggi del passato, in orbita attorno a Dan, corrisponde una seconda nel presente. Si tratta di sua figlia Emily (Alia Shawkat), agente dell’FBI che ha vissuto una vita sotto falsa identità, e Harold Harper (John Lithgow), responsabile della missione di Dan ai tempi dell’Afghanistan, nonché ora capo della ragazza a cui è legato da un affetto paterno. È facile vedere come l’intero intreccio della storia ruoti continuamente attorno ad un sistema duale, in cui ogni personaggio ha un proprio doppio. Un gioco di specchi intricato e continuo, che si moltiplica su più piani temporali fino a costruire una storia certamente affascinante.
Ed eccoci all’ultimo atto della prima stagione di “The Old Man“. Dan e Harold, amici-nemici finalmente riuniti, decidono di fare squadra per il bene dell’unica cosa che conta: Emily, la loro figlia. Perché Harold, che per anni ha tenuto la ragazza sotto la sua ala protettiva, rivendica il proprio ruolo paterno non meno di Dan, padre nell’ombra e agente di un amore tenuto necessariamente a distanza. Nel frattempo Emily, tenuta prigioniera, si scopre essere l’obiettivo di un terzo uomo: Faraz Hamzad.
Un tema, quello del rapporto padre-figlia, che racchiude in sé questo settimo episodio oltre a fare da fil rouge di tutta la serie. A ben guardare, inoltre, il rapporto padre-figlia si inserisce perfettamente nei meccanismi duali che strutturano la narrazione, offrendo allo stesso tempo molteplici facce per il medesimo tema. In questo senso assumono un valore duale le figure paterne di Dan e Harold, così come Emily/Angela in modo complementare ai due. Similmente, in un ennesimo rivolgimento narrativo e identitario, anche Faraz Hamzad entra in tale dinamica di coppia: è lui, infatti, il vero padre della ragazza.
Non possiamo certo dire, arrivati all’ultimo episodio, che la scoperta della paternità di Hamzad sia una rivelazione impensata. La serie, nel suo avanzare, dissemina continuamente “sensazioni” al riguardo, in modo tale che la svolta definitiva arrivi più come una ammissione di colpevolezza che come uno shock. L’effetto procurato è più quello da spettatore compiaciuto per il perfetto incastro dei tasselli nel puzzle. Il ruolo centrale di Emily, infatti, è sempre stato sotto i nostri occhi. È lei il vero fulcro delle vicende, attorno cui fanno leva le forze dei diversi personaggi.
Un ruolo di perno, sebbene giocato in maniera passiva, che richiama quello attivo giocato trent’anni prima da sua madre. È Bellour, infatti, la vera agente dietro le azioni che in passato hanno legato i protagonisti della storia. A ben guardare, dunque, la situazione è costruita (ancora una volta) in maniera duplice. I due personaggi di Emily e di Bellour si configurano come figure femminili attorno cui ruotano quelli maschili – Dan, Harold, Hamzad. Una dinamica che, oltre a sdoppiarsi su due piani temporali (passato e presente), contrappone il valore latente della femminilità (a sua volta specchio del legame madre-figlia) all’azione secondaria del maschile.
Legato a doppio filo al tema del femminile troviamo poi un secondo punto, che costituisce insieme al primo i due binari argomentativi che corrono lungo tutta la serie. Si tratta del rapporto, accennato all’inizio, tra Oriente e Occidente. Lo stesso sistema dei personaggi ricalca questa contrapposizione: da una parte abbiamo Dan e Emily come portavoci occidentali (oltre che prettamente americani, essendo il primo un ex agente della CIA e la seconda un membro dell’FBI); dall’altra Faraz Hamzad e Bellour, un uomo e una donna che combattono per l’autonomia della loro terra e in nome dei valori del proprio mondo.
Entrambe le coppie, ossia i due mondi, vivono un rapporto intrecciato. Ma la natura di tale rapporto è speculare. Analizziamo stavolta le figure dei due uomini. Benché Dan sia una spia inviata in Medio Oriente (per combattere una guerra che non gli è propria), sarà lui che tornerà “nel proprio mondo” portando con sé qualcosa dell’altro (una moglie e una figlia). D’altra parte Hamzad si trasforma in soggetto attivo solo dopo aver subito una privazione (la guerra come risposta all’invasione dell’Afghanistan/il rapimento della figlia che gli è stata portata via). In tal modo “The Old Man” raffigura implicitamente l’azione predatoria degli Stati Uniti nei confronti dei territori in cui storicamente il paese è intervenuto. E lo fa mostrando l’altra faccia della medaglia: con questa chiave di lettura il già citato parallelismo tra Dan e Hamzad, costruito specularmente nella prima e nell’ultima scena della stagione, assume un significato più profondo.
A conclusione della prima stagione non possiamo che dirci sorpresi da “The Old Man“, che si dimostra una vera e propria perla nascosta nel catalogo di Disney+. La serie, che parte con un intreccio da spy-story declinata in salsa old style (letteralmente), si complica con il suo procedere, allargando lo sguardo verso diversi personaggi e punti di vista. All’efficacia della narrazione contribuisce la profonda introspezione dei personaggi. Questo anche grazie un cast semplicemente perfetto, guidato dalla magistrale interpretazione di Jeff Bridges. Così facendo lo sguardo di Dan Chase, ex spia appesantita dagli anni e da un passato oscuro, si posa su tematiche complesse come il rapporto tra Oriente e Occidente, a sua volta affiancato dalla decostruzione operata dai personaggi femminili.
La prima stagione di “The Old Man” lascia ad ogni modo tutte le carte in tavola. Il suo finale aperto si presta dunque ad una necessaria continuazione, dal momento che la serie è stata rinnovata per una seconda stagione. Non vediamo l’ora di scoprire, dunque, il secondo atto di questa affascinante storia.
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