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Tanti auguri Morrowind, la rivoluzione dei videogiochi di ruolo

di Marco Bilato

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Un gioco che ha rivoluzionato i videogiochi di ruolo di stampo occidentale. Per la prima volta in casa Bethesda, con Morrowind si stava puntando al dettaglio anziché alla quantità. Oggi, a 20 anni esatti di distanza da questa pietra miliare il gioco risulta più attuale che mai. Ecco il nostro tributo, in occasione del compleanno di questo titolo leggendario.

Come ha fatto Todd Howard a rivoluzionare per sempre gli RPG con Morrowind?

Reduci dai 9 milioni di chilometri di mappa su TES: Arena e dei “soli” 161.000 km di TES II: Daggerfall, sembrava una vera e propria pazzia l’idea di ridurre le dimensioni della mappa. Soprattutto quella di una saga conosciuta per la vastità del mondo di gioco. Fortunatamente un giovane Todd Howard, appena nominato come capo progetto e designer per TES III: Morrowind, non la pensava così.

La filosofia di gioco che Howard sosteneva era di “vivere un’altra vita, in un altro mondo” e la “meraviglia della scoperta”. Il giovane produttore di videogames voleva trasportare l’immersività di Dungeons & Dragons in un videogioco con dalle dimensioni molto più contenute rispetto a i precedenti (16 km) ma con una quantità di dettagli fuori dal comune.

 

“Il mio primo ricordo è stato con mio fratello in un negozio di giochi chiamato Conflicts e i miei genitori che ci accompagnavano un martedì sera per giocare a questo gioco “D&D”. Le tre ore successive furono una rivelazione. È stato come se per me si fosse aperta una nuova porta verso la bellezza. Era l’estate del 1978, se ricordo bene, e avevo otto anni. Ricordo di aver contato i giorni fino a ogni martedì. È uno dei miei ricordi preferiti, del vero legame con mio fratello e gli altri.” – Todd Howard, intervista di Gary Gygax a Level Up.

 

Jiub

Jiub, il primo NPC con cui parliamo nel gioco. Lo ritroviamo sul DLC Dawnguard in Skyrim, come spirito.

Morrowind, il primo mattone di una rivoluzione open world

Il protagonista è un prigioniero liberato in quest’isola chiamata Morrowind che dovrebbe servire da seconda chance di vita agli ex detenuti. Non facciamo nemmeno in tempo a creare il personaggio che ci ritroviamo spaesati. In questo dettagliatissimo mondo NON ci viene minimamente detto cosa fare o dove dobbiamo andare.

La scelta degli sviluppatori è di lasciare all’utente la massima libertà per poter esplorare da zero. L’unica informazione che abbiamo è di contattare un certo “Caius Cosades a Balmora”. Non essendoci un puntatore sulla mappa siamo sempre più incerti di dove siamo e dobbiamo orientarci tramite i rilievi e i cartelli stradali.

Dopo poche ore di gioco in cui incontriamo meduse volanti e uno strano mago che precipita misteriosamente dal cielo, riusciamo ad arrivare a Balmora ed anche lì la politica di Howard si fa sentire: Caius Cosades non ci dà alcuna missione, non ci dice cosa dobbiamo fare ma ci intima di “vivere”, di trovare un lavoro, una gilda. Un chiaro messaggio che ci dice “Vai e vivi questo mondo, perché puoi farlo”.

I dettagli fanno la perfezione ma la perfezione non è un dettaglio

Il “dettaglio” è l’elemento che Todd Howard ed il suo team hanno deciso di sviluppare per rendere il più immersivo possibile qualsiasi missione o storia che ci viene raccontata. Una semplice richiesta di “uccidere qualcuno”, vista e rivista in moltissimi videogames, in Morrowind diventa una storia in grado di fornire dettagli, di scoprire complotti e collegamenti che solo un videogiocatore che sta vivendo a pieno l’esperienza può trovare.

Un’esperienza molto simile a quella dei Souls in cui il giocatore non è accompagnato a manina tramite mappe, segnali e indicazioni chiare. Il brivido della scoperta e del “migliorare sé stessi”, migliorando anche nel gioco, sono sensazioni impagabili che nei titoli moderni stanno andando a scomparire per favorire l’approccio di un’utenza massiva.

Una storia che… nasconde la lore?

Eccoci ad uno dei punti di forza del gioco, la storia. Quando partiamo, non conosciamo NULLA del mondo di gioco ma quando giungiamo al termine è come se avessimo vissuto un’avventura a tratti lovecraftiana. Alcune parti di trama sono tenute nascoste volontariamente dai personaggi in gioco per nascondere misteri, malefatte o peggio. Si passa dal combattere semplici animali allo sfidare semidei, dal raccogliere piante medicinali alla ricerca di manufatti ritenuti leggenda dal giocatore stesso.

“La storia è scritta dai vincitori”. Quest’affermazione non cambia su Morrowind ed in molte occasioni ci troviamo davanti a dei plot-twist solo perché abbiamo creduto alla prima storia che ci veniva raccontata. Senza la curiosità che contraddistingue il videogiocatore molte storie non le veniamo neanche a conoscere. Potremmo ritrovarci ad uccidere una famiglia innocente, credendo che siano dei banditi solo perché qualcuno ce l’ha ordinato.

A 20 anni dall’uscita di questo capolavoro possiamo sperare che in futuro la vera anima di giochi come questo non venga persa e che in futuro ci siano altri titoli in gradi di trasportarci in un altro mondo “vivo” e di farci vivere in una storia ben scritta e strutturata magistralmente.

Morrowind era e resta un capolavoro nonostante gli anni passati. Una delle pietre angolate che non solo ha cambiato il modo di giocare, ma addirittura di PENSARE i videogame. Ha dato un respiro epico, fantasioso eppure così REALE, ad un mondo creato dal nulla. Siamo tutti figli di Morrowind. E, se ancora non lo avete fatto, recuperatelo. E andate oltre i modelli poligonali invecchiati male e la grafica. Vivetelo e non ve ne pentirete.

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