Spontaneo, genuino, onesto e mai banale. Carlo Mazzone è un uomo d’altri tempi, un grande professionista e un simbolo di un calcio che, purtroppo, non c’è più. Classe 1937, oggi compie 85 anni, e noi di NCC vogliamo celebrarlo ripercorrendo la sua carriera, fra aneddoti e frasi memorabili.
Carlo Mazzone comincia la sua esperienza nelle giovanili della Roma. Alto 1 e 90, di ruolo difensore, dopo un’esperienza dilettantistica a Latina esordisce in Serie A con i giallorossi. Dopo due annate dimenticabili con Spal e Siena, si trasferisce all’Ascoli, dove chiude la sua carriera. Al termine della stagione’68-’69, la sua ultima da giocatore, inizia ad allenare proprio i bianconeri.
Nella sua avventura all’Ascoli, durata fino al ’75, porta la squadra marchigiana dalla Serie C alla Serie A. Al termine del contratto, Mazzone inizia a girare per l’Italia, fra Fiorentina, Catanzaro, di nuovo Ascoli, poi Bologna, Lecce, Pescara e Cagliari. Coi sardi raggiunge il sesto posto, e quindi la Coppa Uefa, nel ’92-’93. Lo straordinario risultato vale la chiamata della Roma, la sua squadra del cuore, di cui successivamente dirà: “Battere la Roma? È mio dovere provarci, ma è come uccidere la propria madre“.
Nel triennio giallorosso ci sono pochi successi sul campo, ma a Mazzone viene riconosciuto l’azzardo di aver lanciato fra i grandi un giovanissimo Francesco Totti, vero e proprio pupillo dell’allenatore romano.
Anche se Totti aveva già esordito in Serie A con Boskov, fu Mazzone a schierarlo spesso come titolare, aumentando di parecchio il minutaggio nei suoi tre anni alla Roma. Innamorato di Totti a tal punto che, quando gli fu proposto di prendere Litmanen, rispose: “Perché buttare soldi, abbiamo il ragazzino“.
Carlo Mazzone fu per il futuro capitano della Roma una figura paterna, disposta a difenderlo da tutto e tutti. Quando i media si fecero sempre più insistenti per intervistare il giovane talento giallorosso, non ancora 18enne, ci pensò proprio l’allenatore a risolvere tutto. Famosissima è la frase, rivolta proprio ad un Totti circondato dai giornalisti: “A’ regazzì, vatte a fa la doccia, che cò loro ce parlo io“.
Nel 1996 lascia la Roma e firma col Cagliari, che però retrocede. Lascia quindi il club sardo e prova a ripartire dal Napoli, ma si dimette dopo sole quattro giornate. Dopo una seconda esperienza al Bologna e una al Perugia, nel 2000 Mazzone firma col Brescia.
A Brescia, Mazzone riesce ad allenare quello che sarà il giocatore più importante e simbolico per la sua carriera: Roberto Baggio. Il Divin Codino, all’epoca vicino alla Reggina, fu addirittura chiamato personalmente da Mazzone e convinto a firmare; tra i due fu amore a prima vista.
Mazzone conosceva bene lo spirito libero di Baggio, e sapeva che concedergli quella libertà equivaleva a far rendere al massimo un giocatore capace di vincere le partite da solo. Per rendersi conto del rapporto fra i due, è emblematico l’episodio del cane.
Durante una sessione di allenamento ci fu un’invasione di campo da parte di un cane, che fece andare su tutte le furie Mazzone: “Ma di chi è ‘sto cane? Mannatelo fori li mortacci sua!“. Un magazziniere gli disse timidamente che apparteneva a Baggio; al che il mister rispose col suo solito fare romanesco: “Embè, che state a aspettà, portateglie da magnà a ‘sto cane!“. Non c’è modo migliore per descrivere il rapporto fra i due che usare le parole dello stesso Mazzone: “Baggio è stato una passeggiata, un amico che mi faceva vincere la domenica“. E lo faceva vincere eccome.
È proprio una tripletta di Baggio, che contribuirà a regalare al calcio italiano uno dei momenti più “ignoranti” e divertenti della sua storia. Il 30 settembre 2001 si gioca Brescia–Atalanta, partita sentitissima da entrambe le parti. Dopo il vantaggio firmato da Baggio, l’Atalanta aveva rimontato fino addirittura al 3 a 1. La curva bergamasca inizia quindi a insultare Mazzone e a intonare cori poco simpatici verso la sua famiglia.
Poco dopo Baggio accorcia, e Mazzone, su tutte le furie, promette che sarebbe andato proprio sotto la curva avversaria in caso di pareggio. La frase è storica: “Se famo il terzo vengo sotto a’ curva“. Detto, fatto. Punizione al 92′, tripletta di Baggio e Mazzone incontenibile che, col pugno chiuso, inizia a correre ed esulta in faccia agli ultras dell’Atalanta. Arriva poi l’incontestabile espulsione da parte dell’arbitro Collina, ma Mazzone, con la sua bonarietà, dice al direttore di gara: “Buttame fuori, me lo merito…“. Negli spogliatoi, invece, dirà a Baggio: “A Robbè, ma proprio oggi dovevi fa ‘sti 3 gol…?“.
Oltre a questi simpatici episodi, l’allenatore romano a Brescia avrà uno degli accorgimenti tattici più geniali della storia del calcio. La presenza di Baggio oscurava infatti un giovane trequartista, che rispondeva al nome di Andrea Pirlo. Mazzone decise quindi di schierare il ragazzo davanti alla difesa; il resto, ovviamente, è storia.
Dopo i 3 anni a Brescia chiude la sua carriera fra Bologna e Livorno, stabilendo a quasi 70 anni il record di presenze per un allenatore in Serie A: 792, battendo Nereo Rocco (787). Una personalità storica del calcio italiano, un uomo semplice e diretto, che col suo modo di fare scanzonato e mai banale, si è conquistato l’affetto di tutti.
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