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Talk to me, la recensione: l’innovazione di cui l’horror aveva bisogno

di Alice Casati

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A distanza di un mese da Halloween arriva nelle sale cinematografiche un horror che negli ultimi mesi ha fatto molto parlare di sé, quale “Talk to me“. Si tratta del primo film del noto duo di youtuber australiani Danny e Michael Philippou, in arte RackaRacka. I due hanno ottenuto la fama sul web grazie ai loro cortometraggi di pochi minuti di genere horror-comico, con cui, oltre a un discreto pubblico, hanno ottenuto diversi riconoscimenti e anche alcuni premi. Il loro debutto cinematografico avviene proprio come produttori, registi e sceneggiatori di “Talk to me“, distribuito da A24 e in Italia da Midnight Factory.

Nel cast di “Talk to me” troviamo Sophie Wilde, Alexandra Jensen, Joe Bird, Otis Dhanji, Miranda Otto, Zoe Terakes, Chris Alosio, Marcus Johnson e Alexandria Steffensen. Dopo il successo del debutto del film al Sundace Film Festival e successivamente nelle sale, è già in lavorazione un sequel, i cui dettagli sono tuttavia ancora sconosciuti.

“Parla con me”

Il film è incentrato su Mia, una ragazza di diciassette anni in un periodo molto difficile della sua vita. Ha infatti perso sua madre da pochi mesi, in circostanze a lei poco chiare, e ciò l’ha portata a cadere sempre di più in depressione. Distante dal padre, Mia passa la maggior parte del tempo con la migliore amica Jade e il fratello minore di quest’ultima, Riley. Una sera i tre riescono a recarsi ad una festa di alcuni amici di Jade, dove si ritrovano ad assistere a una sorta di seduta spiritica. Al posto di una più consueta tavola Ouija, il mezzo di comunicazione è una mano, apparentemente di un medium, mozzata, imbalsamata e rivestita di ceramica. Stringendo la mano e pronunciando le parole “Parla con me“, i ragazzi entrano in contatto con il mondo dei morti, per poi farsi possedere con la formula “Ti lascio entrare“.

Tutte le sedute avvengono sotto la luce di decine di fotocamere accese e puntate, e lo stesso contatto con i defunti diventa una fonte di intrattenimento. I volontari la descrivono come un’esperienza incredibile, quasi come l’effetto di qualche sostanza. Il continuo utilizzo della mano porterà però inevitabilmente a conseguenze catastrofiche, in particolare quando oltrepasseranno il limite di 90 secondi delle possessioni. Nel momento in cui i morti inizieranno a perseguitare Mia, sarà sempre più difficile comprendere cosa sia realtà e cosa immaginazione, visione; sarà in grado di riuscirci prima che sia troppo tardi?

“Talk to me” è un horror riuscito a 360 gradi

Talk to me” sceglie di partire da uno schema semplice, quello dell’horror moderno, adolescenziale, incentrato su possessioni e spiriti, come si mostra anche nei trailer. In realtà, il film va ad affrontare temi profondi ed importanti quali la depressione, la perdita, in maniera realistica e attenta psicologicamente. Il personaggio di Mia ritrae in modo diretto e sincero il terribile periodo che sta vivendo con un occhio di riguardo alla sua età, dunque una visione del lutto anche dalla percezione di un’adolescente già tormentata, senza gli strumenti per affrontare il dolore e il senso di colpa che la affliggono. Sicuramente un film che lascia qualcosa, che induce a riflettere e interrogarsi, ma restando in superficie adatto anche a chi cerca un horror semplice e di intrattentimento.

È interessante osservare l’ambiguità che pervade tutta la storia, vissuta dietro gli occhi di una protagonista non attendibile. Tutto ciò che avviene potrebbe essere realtà una semplice illusione, ed ogni interpretazione cambia il corso degli eventi, senza però poterne mai avere la certezza assoluta. In questo senso il film riesce perfettamente nel suo intento, mantenendo il dubbio sulla realtà dei fatti per tutta la sua durata, in particolare sul finale.

 

Talk to me

 

La metafora delle possessioni dei defunti

Un espediente interessante ed innovativo con cui il film sceglie di affrontare il tema delle possessioni e del contatto con l’aldilà è la metafora con il divertimento forzato e l’utilizzo di sostanze stupefacenti. A renderlo evidente sono le sequenze in cui Mia e gli altri ragazzi “giocano” con la mano divertendosi a filmarsi e farsi possedere, come appunto sotto l’effetto di sostanze. Come accennato, la possessione viene descritta da chi la prova come un’esperienza incredibile, irreale. Ma all’eccitazione fa seguito la dipendenza; la continua ricerca di quell’esperienza, le scuse dette agli altri o a sé stessi per poter provare ancora, l’astinenza, le bugie, il rifugiarsi in qualcosa che faccia evadere dalla realtà. Il parallelismo sussiste narrativamente in maniera efficace ed è interessante coglierne le sfumature, che giustificano volontariamente anche diverse situazioni del film.

L’estremo realismo dei personaggi di “Talk to me”

Come già menzionato in precedenza, “Talk to me” è molto più approfondito di quanto possa sembrare inizialmente, a cominciare dai personaggi. Scompaiono gli stereotipi a cui fanno affidamento molti horror di questo genere, per fare posto a personaggi realistici, dall’attenta analisi psicologica. Prima fra tutti troviamo Mia, che come detto si trova a fronteggiare un evento fortemente traumatico a soli 17 anni. Il suo attaccamento quasi morboso a Jade e Riley, la sua necessità di essere vista e sentita, di fare parte di qualcosa, sono assolutamente sensate e giustificate da questo. Gli stessi Jade e Riley hanno una loro introspezione, così come la madre Sue, il padre di Mia e gli altri. Tutti hanno un carattere forgiato dalle loro esperienze in modo tale che ogni frase, ogni azione risulti sensata se detta o compiuta da uno specifico personaggio.

Complice di questo realismo nei personaggi anche la prova attoriale del cast di “Talk to me“; sicuramente continua a primeggiare la protagonista, interpretata da Sophie Wilde. Spicca anche la performance di Miranda Otto, che interpreta Sue, madre di Jade e Riley. Un’ottima scelta del cast che corona l’idea vincente della pellicola.

Lo stile dei Philippou in un lungometraggio

A livello tecnico, il film mantiene un ritmo costante e serrato, pur con alcuni momenti di distensione, per pressoché tutta la sua durata. Particolarmente teso è quello del finale, rapido e angosciante, che mantiene l’agitazione culminando nella conclusione. Anche grazie a questo il film si rivela effettivamente inquietante e oltremodo disturbante. I jumpscare presenti sono pochi e costruiti in modo sensato e funzionale alla trama, con le modalità e i tempi giusti. Tutto è congegnato per incastrarsi e funzionare sul piano narrativo, con lo scopo di inquietare ma sempre fedelmente alla narrazione.

Ciò che rende “Talk to me” particolarmente disturbante è anche l’elemento “gore”, che i Philippou non potevano che mantenere qui come loro tratto distintivo. Fin dai loro cortometraggi su YouTube con protagonista Ronald McDonald, infatti, avevano presentato il loro stile come grottesco, cruento all’inverosimile, tanto da sfociare nel comico. Nel film non si eccede in questo senso ma sono comunque presenti scene forti che in parte richiamano i contenuti che li hanno resi popolari sul web. Ad aumentarne l’inquietudine è la loro costruzione, che avviene con un crescendo di tensione che tuttavia non prepara a quanto sta per accadere. Per quanto possa risultare sconvolgente per alcuni spettatori, lo stile dei registi risponde ampiamente a questa componente.

 

Talk to me

 

Considerazioni finali

Talk to me” si rivela senza dubbio una scommessa vinta. Il primo film dei gemelli Philippou è un horror adolescenziale di intrattenimento ma al contempo intimo e profondo, ricco di spunti di riflessione. Propone temi come depressione e lutto in modo realistico, affrontando anche un’interessante metafora su droga e divertimento forzato. I personaggi sono ben congegnati e costruiti, soprattutto la protagonista Mia, e vengono interpretati perfettamente dal cast sia più giovane che più esperto. Il ritmo è serrato e angosciante soprattutto sul finale. Lo stile risponde a quello tipico dei Philippou in particolare nelle scene più forti e violente, che per quanto disturbanti per alcuni spettatori sono intrinsecamente legate ai lavori dei registi. Nel complesso un’ottima pellicola che riesce in tutti i suoi propositi narrativi e stilistici, intrattiene, fa riflettere e senza dubbio lascia il segno.

Pro

  • Il modo realistico in cui affronta temi importanti come depressione e perdita e in cui ritrae i personaggi;
  • Il mantenimento equilibrato di un’ambiguità di fondo tra realtà e illusione della protagonista;
  • La metafora della mano e il contatto con l’aldilà con il divertimento forzato e l’utilizzo di sostanze;
  •  L’interpretazione degli attori del cast, in particolare Sophie Wilde;
  • Lo stile dei Philippou, consolidato ed efficace anche su lungometraggio oltre che nei loro noti corti di YouTube.

Contro

  • Nessuno.

 

 

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