La Serie A e il movimento calcistico italiano hanno perso ormai da qualche anno quel fascino quasi mistico che li contraddistingueva in passato. Il nostro campionato sta diventando sempre più una meta di passaggio per i campioni della nuova era calcistica ed il gap con gli altri campionati aumenta sempre di più. Sul campo ce la possiamo giocare ancora, come dimostrato da Milan, Inter e Napoli in Champions League, ma quello che in Italia manca davvero è un efficace sistema di valorizzazione del primo sport nazionale.
Uno dei fattori principali è sicuramente la mancanza di strutture di prima fascia nel nostro Paese. Gli stadi italiani sono nella maggior parte dei casi opere troppo datate (l’età media è di 54 anni) per tenere il passo con la bellezza degli impianti esteri.
Negli ultimi anni ci sono stati alcuni casi emblematici della tendenza delle istituzioni italiane a non preoccuparsi della situazione degli impianti sportivi di spicco. Ne sanno qualcosa Inter e Milan, che da quattro anni aspettano il via libera per costruire il nuovo San Siro, anche Roma e Lazio che non riescono a portare avanti il progetto di lasciare l’Olimpico in favore di una nuova struttura.
Per farsi meglio un’idea, basti pensare che in Italia sono solo tre gli stadi che rientrano nella Categoria 4 della classificazione UEFA, riservata alle strutture migliori d’Europa che possono ospitare partite internazionali di alto livello. Si salvano solo San Siro, lo Stadio Olimpico di Roma e l’Allianz Stadium di Torino: un elenco troppo corto, specialmente se confrontato con Regno Unito o Spagna dove anche i Glasgow Rangers o l’Elche possono vantare uno stadio di categoria 4.
La situazione è ancora più drastica se si guardano stadi minori, come l’Artemio Franchi di Firenze o il Bentegodi di Verona, che a fronte di una buona capienza non rientrano neanche nella categoria 3 dei parametri UEFA. Il problema principale è che la stragrande maggioranza delle strutture sportive italiane non sono di proprietà esclusiva dei club, ma sono in comproprietà col Comune di appartenenza, che partecipa attivamente alla gestione e alla divisione dei profitti. Fanno eccezione solo l’Allianz Stadium della Juventus, la Dacia Arena dell’Udinese, il Gewiss Stadium dell’Atalanta e il Mapei Stadium, che appartiene all’omonima azienda proprietaria anche del Sassuolo che ne usufruisce.
La costruzione di nuovi stadi moderni e di proprietà esclusiva dei club sarebbe un ottimo punto di partenza per aumentare gli introiti. Per esempio, la Juventus ha basato un decennio di vittorie proprio sull’impianto torinese, ma a quanto pare l’esempio dei bianconeri non è stato abbastanza per smuovere lo statico sistema italiano a riguardo.
Negli ultimi anni sono iniziate ad uscire fuori timide iniziative di diverse squadre di Serie A, ma al momento si tratta solo di parole e poco più. All’estero, e specialmente in Inghilterra, quasi ogni squadra ha uno stadio di proprietà e al confronto il campionato italiano è clamorosamente arretrato. Le proprietà non riescono ad investire, un po’ per l’inerzia delle istituzioni e un po’ per la mancanza di interesse.
La Juventus ha provato a delineare una strada in questo senso. I bianconeri, nell’epoca pre-Covid, incassavano circa 50 milioni di euro a stagione solo dall’Allianz Stadium. Una cifra irraggiungibile per tutti gli altri club, che ha permesso ai bianconeri di mantenere uno strapotere economico non solo in Italia, ma anche in Europa grazie ai successi entro i confini nazionali. La società torinese ha rivalutato l’area della Continassa costruendo inoltre il centro di allenamento, il JHotel aperto ai tifosi e il centro commerciale adiacente allo stadio, aumentando ricavi e visibilità anche in termine di sponsorizzazioni.
L’Atalanta e l’Udinese hanno seguito le orme dei bianconeri, ma si tratta di realtà meno visibili a livello internazionale. La scossa dovrebbe arrivare dai top club del nostro campionato, quelli che dovrebbero prendersi la responsabilità di rappresentare un intero movimento calcistico e mostrare al mondo che anche la Serie A è pronta a incamminarsi verso il calcio del futuro.
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