Il ministro della salute Roberto Speranza ha approvato il DM 77, entrato in vigore il 7 luglio e pubblicato sul numero 144 della Gazzetta Ufficiale. Si tratta di uno step chiave facente parte della Missione 6 Salute del PNRR, il cui scopo è quello di rivoluzionare il Sistema Sanitario Nazionale e l’assistenza diretta ai cittadini. Vediamo in concreto come cambierà la sanità.
L’obiettivo centrale del Decreto Ministeriale è il seguente: medici e infermieri disponibili 7 giorni su 7 per 24 ore. Come riportato anche da Skytg24, per raggiungere tale scopo si prevedono le cosiddette Case di Comunità, in cui devono essere sempre in servizio tra i 30 e i 35 medici di medicina generale e pediatri e tra i 7 e gli 11 infermieri, ovviamente a rotazione. Le CdC sono dei veri e propri luoghi fisici a stretto contatto con il cittadino, con il fine di rendere più prossimo il servizio sanitario all’individuo. In questo modo, si vuole anche ridurre la pressione ai grandi ospedali, che spesso rischiano di essere intasati da persone che soffrono di patologie lievi. Di certo non si vuole più ripetere la drammatica situazione venutasi a creare nei primi mesi di pandemia da Covid.
Al servizio del cittadino sono previsti qualunque tipo di specialisti, tra cui psicologi e ostetrici. Qualora il paziente che si rivolge alle Cdc soffra di patologie troppo problematiche o gravi, deve essere trasferito agli ospedali di comunità, una sorta di via di mezzo fra ospedali grandi e le Case. Queste ultime saranno disposte in maniera funzionale al cittadino in tutto il territorio italiano, operando all’interno dei vari Distretti sanitari. Come riportato da IlSole24Ore, è prevista la costruzione di oltre 1200 nuove strutture entro il 2026, una ogni 40-50 mila abitanti, da finanziarsi con i fondi del PNRR destinati alla sanità.
Si tratta quindi di un progetto estremamente innovativo per la sanità e per il cittadino, tuttavia sempre IlSole24Ore solleva delle perplessità. Se infatti il PNRR prevede dei finanziamenti strutturali e tecnologici, non si può affermare lo stesso per le risorse umane, in risposta all’aumento di personale. Le regioni, di conseguenza, dovrebbero utilizzare il denaro proveniente del Fondo Sanitario Nazionale (FSN), che già si rivela insufficiente per il mantenimento dei servizi correnti. Questa rivoluzione, quindi, potrebbe rimanere solo sulla carta, o applicata in maniera ridotta a quanto ci si aspettava. Vedremo come si evolverà la situazione, dato che già entro gennaio 2023 tutte le regioni dovranno dotarsi di un’organizzazione territoriale adeguata, pena la perdita di una parte di finanziamenti del FSN.
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