Disponibile in home video grazie a Eagle Pictures dal 3 agosto, “Resident Evil: L’isola della morte” è un film diretto da Eiichirô Hasumi. Il cast vocale originale è formato da Kevin Dorman, Matthew Mercer, Stephanie Panisello, Nicole Tompkins, Erin Cahill e Salli Saffiotti.
Dopo 3 film e una miniserie per Netflix, il celebre franchise videoludico targato Capcom ritorna sui nostri schermi con “Resident Evil: L’isola della morte”. La nuova pellicola animata completamente in CGI mostra per la prima volta tutti i protagonisti della saga insieme in una pericolosa missione sulla celebre isola di Alcatraz. Ma questa reunion in puro stile “Avengers” è riuscita? La risposta potrebbe deludere i fan e non solo… Nonostante un comparto tecnico complessivamente migliorato rispetto ai titoli precedenti, “Resident Evil: L’isola della morte” pecca con la sua sceneggiatura, raccontando una storia fin troppo prevedibile con tutti gli elementi diventati caratteristici all’interno della saga videoludica, non funzionando al meglio nonostante una narrazione scorrevole.
Mentre Leon S. Kennedy (Matthew Mercer) è alla ricerca del dottor Antonio Taylor, la sua strada si incrocia con quella degli agenti della B.S.A.A. e sopravvissuti come lui al disastro di Raccoon City Chris Redfield (Kevin Dorman) e Jill Valentine (Nicole Tompkins). Oltre ai due, si uniscono Claire Redfield (Stephanie Panisello) e Rebecca Chambers (Erin Cahill). Il team si ritroverà a San Francisco, per la precisione ad Alcatraz, a contrastare l’uso di una nuova e pericolosa arma bio-organica da parte di un misterioso uomo legato in passato alla Umbrella Corporation. “Resident Evil: L’isola della morte” non solo collega in parte la sua storia al film precedente (“Resident Evil – Vendetta”), ma cerca di porsi come sequel legacy attraverso la reunion dei protagonisti della saga videoludica.
Nonostante questo sia molto bello da vedere per i fan del videogioco, ad essere deludente è proprio la sua resa complessiva e la posizione della pellicola nel canone del franchise. Come i capitoli precedenti, anche “Resident Evil: L’isola della morte” rientra nel canone dell’universo narrativo di “Resident Evil” e nonostante questo, alcune discrepanze e la quasi totale assenza di riferimenti ai videogiochi fanno storcere il naso ai numerosi fan dell’acclamato titolo Capcom. Se la maggior parte dei protagonisti della pellicola ha avuto già un suo focus nei titoli precedenti, a rubare la scena è Jill. Per il personaggio è un gradito ritorno nella saga dopo gli eventi del quinto capitolo del videogioco e saranno proprio questi eventi ad influenzare la sua psicologia e il suo posto nella lotta al bioterrorismo.
“Resident Evil: L’isola della morte” è la più grande reunion di personaggi della saga videoludica di casa Capcom. Rendendo tutti protagonisti, a spiccare su tutti è Jill. Dopo il quinto capitolo e lo spin-off prequel “Revalations”, Jill Valentine è ritornata nel remake del terzo capitolo della saga. E infatti “Resident Evil: L’isola della morte” è legato a doppio filo con questo remake perché l’ex agente S.T.A.R.S appare per la prima volta in forma animata con il design 1:1 del remake arrivato in tutto il mondo due anni fa. Oltre alla presenza del suo redesign, il personaggio è la vera colonna portante della storia di “Resident Evil: L’isola della morte”. I suoi traumi passati influenzano le sue scelte e ricadranno tutte in questa pericolosa missione ad Alcatraz.
Infatti il personaggio di Jill è uno dei pochi elementi positivi della pellicola, mentre tutti gli altri personaggi insieme al villain si rivelano purtroppo anonimi. Nonostante l’operazione in sé porti su schermo tutti i protagonisti principali del franchise in un’unica pellicola, “Resident Evil: L’isola della morte” non brilla dal punto di vista della scrittura, regalando al pubblico un prodotto action e scollegato alla saga attraverso alcuni dettagli, nonostante la canonicità del racconto
Ambientato nel 2015, “Resident Evil: L’isola della morte” racconta eventi successivi al sesto capitolo della saga e precedenti al settimo e ottavo capitolo che hanno riportato la saga ad avere un approccio survival horror. E sono proprio gli ultimi due capitoli a venire completamente ignorati, presentandoci un mondo che affronta delle B.O.W. potenziate ma molto vicine a quelle viste nei primi capitoli della saga. I collegamenti tra il franchise e “Resident Evil: L’isola della morte” sono pochissimi. Dagli eventi di Raccoon City, fino ad arrivare agli eventi del quinto e del sesto capitolo che hanno cambiato la vita di Chris e Jill. Se Raccoon City in apparenza sembra cruciale nella costruzione dell’anonimo villain della pellicola, nel corso del racconto tutto questo si perde e anzi mostra come questi film animati creino un canone quasi indipendente da quello visto nei videogiochi.
Non solo il design dei personaggi, molto distante dalle loro ultime apparizioni videoludiche (tranne per Jill come menzionato in precedenza), ma anche il non menzionare determinati eventi e una sceneggiatura che tende a dimenticare l’importanza di alcuni risvolti narrativi degli ultimi due capitoli videoludici, rendono “Resident Evil: L’isola della morte” una pellicola fan service, dimenticandosi in parte dell’universo narrativo in cui è collocata la storia. La presenza di tutti i protagonisti principali della serie videoludica è un paradosso. Se da una parte questo crossover tra personaggi è un qualcosa che i fan della saga aspettavano da tempo, dall’altra invece è parte del problema che tocca il canone del franchise e non solo.
“Resident Evil: L’isola della morte” presenta un grosso miglioramento del suo comparto tecnico. Se la computer grafica della serie “Infinite Darkness” non era sempre di alto livello, nella pellicola diretta da Eiichirô Hasumi invece il livello si è notevolmente alzato nonostante qualche movimento facciale dei protagonisti non convincente al 100%. Come in una lunghissima cutscene di un videogioco, “Resident Evil: L’isola della morte” trasporta lo spettatore all’interno di una classica storia action che poggia le sue fondamenta sul quinto e soprattutto sesto capitolo della serie videoludica. Infatti le sequenze più frenetiche sono ben realizzate e l’uso della CGI per la loro realizzazione è decisamente valida.
Nonostante alcuni frame siano al limite del fotorealismo, la computer grafica è ancora distante dai livelli raggiunti dai videogiochi. Per comprendere al meglio questo, basti pensare proprio all’ottavo capitolo e al remake dell’amatissimo quarto “Resident Evil”, confrontando il lavoro della CGI di “Resident Evil: L’isola della morte” e l’uso del motore grafico RE Engine per i due titoli videoludici in questione. Il passo in avanti è evidente, seppur imperfetto, ma in ottica futura per il possibile arrivo di un nuovo titolo cinematografico in CGI, il franchise di “Resident Evil” potrebbe riservare gradite sorprese sotto l’aspetto visivo.
“Resident Evil: L’isola della morte” è l’apoteosi del fan service per i fan della saga videoludica. Con una storia fin troppo semplice e legata con dei sottili fili alla serie videoludica, la pellicola diretta da Eiichirô Hasumi non brilla in originalità e imprevedibilità. L’unico personaggio ad elevarsi in parte nel corso del racconto è Jill. Nonostante questo, la scrittura dei personaggi e del villain è anonima e non offre niente di nuovo ai fan della saga e non. Invece è da elogiare la regia di Hasumi e l’uso della CGI, migliorato rispetto ai progetti animati passati dedicati alla celebre saga videoludica.
L’azione è molto godibile da vedere e si allinea all’approccio action adotatto dai videogiochi con il quinto e il sesto capitolo. In conclusione, “Resident Evil: L’isola della morte” è un prodotto solo per i fan più accaniti della saga videoludica, senza riuscire a soddisfare nemmeno loro al meglio. Godibile grazie anche al suo minutaggio, ma non rivoluziona l’animazione su schermo e non porta a punti di svolta all’interno della saga videoludica.
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