Gamer (@ShutterStock)
Sempre più gamer, specialmente chi ha una certa esperienza alle spalle, avvertono un sentimento comune: i videogiochi annoiano. Nonostante la qualità tecnica e la quantità di contenuti offerti, il senso di entusiasmo e coinvolgimento sembra sfumare. È solo una questione d’età o stiamo assistendo a un cambiamento più profondo nel modo in cui viviamo e percepiamo il gaming?
Il passare degli anni cambia inevitabilmente le nostre abitudini, le aspettative e anche il modo di divertirci. Quando si è più giovani si ha più tempo e voglia di immergersi in esperienze videoludiche lunghe e complesse, capaci di intrattenerti per giornate intere. Ma crescendo, tra lavoro e studio, il tempo libero diminuisce, riducendo la voglia di affrontare i videogiochi.
In più, la nostra soglia di stimoli si alza: non basta più la grafica mostruosa o un mondo enorme da esplorare per attirare la nostra attenzione. Quello che un tempo ci affascinava oggi può risultare ripetitivo, scontato e a volte poco stimolante. Non è un rifiuto verso i videogiochi, ma un cambiamento naturale nelle nostre priorità e nel modo in cui noi cerchiamo il divertimento.
Il mercato videoludico è cresciuto enormemente nel corso degli anni, ma spesso punta su titoli costruiti per vendere tanto e a lungo, seguendo formule già viste: sequel, remake, microtransazioni e aggiornamenti continui. Questa strategia commerciale, pur garantendo introiti sicuri, limita spesso la creatività e il rischio.
Il risultato infatti è un’offerta spesso omologata, dove le grandi produzioni sembrano prodotti seriali e poco coraggiosi. L’effetto a sorpresa, che una volta era il cuore pulsante di ogni uscita, si è affievolito. Anche i giocatori più appassionati percepiscono questa mancanza di novità, ritrovandosi spesso a desirare qualcosa di diverso ma non sapendo dove trovarlo.
Non è un caso se molti tornano a giocare a titoli del passato. Non solo per un semplice sentimento nostalgico, ma perché quei giochi, pur con i loro limiti, trasmettevano qualcosa di veramente autentico. Erano meno perfetti, forse, ma avevano personalità, storie coinvolgenti e un gameplay che sapeva intrattenere senza bisogno di grafiche pazzesche o sistemi di progressioni infiniti.
Questa riscoperta è un segnale fin troppo forte: indica il desiderio di esperienze più sincere, meno complicate e più “umane”. I vecchi giochi diventano così un punto di riferimento per capire cosa oggi manca nel panorama attuale videoludico.
Non è detto che l’interesse per i videogiochi si spenga, ma cambia solo forma. Per alcuni il gaming diventa più occasionale, per altri si trasforma in una passione più importante: si seguono streaming, si approfondiscono le lore, si partecipa a comunità online senza necessariamente giocare attivamente. Questa evoluzione non è negativa, anzi, indica semplicemente che il nostro modo di vivere il mondo del gaming si adatta a noi, alle nostre esigenze e alla nostra età. Forse non è più una questione di “giocare a tutti i costi”, ma di scegliere cosa e come, con più consapevolezza e meno fretta.
Quando percepiamo che i videogiochi annoiano, non dobbiamo vedere ciò come un fallimento personale o del panorama videoludico, è piuttosto un segnale che il nostro rapporto con il gioco è maturato e si sta trasformando. Questo non è la fine del divertimento, ma l’inizio di un nuovo modo di vivere e apprezzare i videogiochi, più selettivo, più profondo e forse, anche più vero.
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