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Il 22 aprile un sanguinoso attacco terroristico a Pahalgam ha sconvolto la regione del Kashmir, ma non è la prima volta che questa zona, contesa tra India e Pakistan, è teatro di violenze. Attualmente le relazioni tra India e Pakistan sono molto tese, ed esiste il rischio dello scoppio di un conflitto armato nella regione del Kashmir.
Le tensioni risalgono alla spartizione dell’India britannica del 1947, che portò alla nascita di due Stati: uno a maggioranza indù (l’India) e uno a maggioranza musulmana (il Pakistan). Il Kashmir, situato al confine tra i due Paesi, aveva una popolazione in prevalenza musulmana, ma era governato da un principe indù. Quell’anno, il monarca decise di aderire all’India, provocando la risposta armata del Pakistan, che rivendicò il territorio.
Da allora la regione è stata teatro di tre guerre. L’ultimo conflitto ha portato alla definizione dell’attuale Linea di Controllo, ovvero quella che divide il territorio conteso tra le due potenze.
Negli anni ’80, il malcontento nella parte indiana della regione sfociò in un’insurrezione armata. Furono anni tesi, ma nel 2002 fu dichiarato il “cessate il fuoco” e avviato un processo di pace.
Secondo molti osservatori, fu determinante il lavoro diplomatico di alcune potenze straniere, in particolare degli Stati Uniti, che mantenendo ancora una presenza militare in Afghanistan aiutarono ad attenuare il conflitto.
Eppure, nuovi episodi di violenza hanno nuovamente scosso il fragile equilibrio venutosi a creare.
Come precedentemente citato, pochi giorni fa l’India ha subito un grave attacco terroristico, in cui hanno perso la vita 26 persone. L’india considera colpevoli i fondamentalisti islamici, in particolare l’organizzazione Lashkar-e-Taiba che, secondo il governo indiano, sarebbe sostenuta dal Pakistan. Il primo ministro indiano, Narendra Modi, è stato molto severo con le sue parole: “L’india identificherà e punirà tutti i terroristi e i loro sostenitori”. Tutto ciò accade in un contesto dove il ministro stesso sta rafforzando una linea politica fortemente nazionalista.
Il Pakistan nega ogni suo coinvolgimento, sottolineando che non ci sono prove. Ma l’India ha deciso comunque di adottare misure difensive, chiudendo il principale valico di frontiera, espellendo i diplomatici pakistani e sospendendo lo storico accordo di condivisione delle acque.
Inoltre in Pakistan il capo dell’esercito, Asim Munir, ha mostrato un atteggiamento molto più aggressivo del suo predecessore, che aveva contribuito a ridurre le tensioni negli ultimi anni.
A questo si aggiunge un contesto internazionale poco favorevole. Gli Stati Uniti, oggi, non hanno più truppe in Afghanistan e non hanno ancora nominato ambasciatori né in India né in Pakistan dall’inizio dell’amministrazione Trump. Negli scorsi giorni, tuttavia, hanno avviato i primi contatti diplomatici, esortando entrambi i governi a evitare il conflitto armato e a mantenere aperti i canali di comunicazione. Vi è inoltre una presenza cinese sui confini occidentali del Kashmir, che alimenta l’incertezza generale: il governo Cinese ha rafforzato i legami con il Pakistan, anche per proteggere i propri interessi infrastrutturali in Kashmir.
È scattato ormai da giorni lo stato di allerta in tutto il territorio. Nell’ultima settimana si registrano scambi di colpi tra eserciti, senza vittime civili ma con la tensione in costante crescita. Le scuole coraniche nel Kashmir pakistano rimarranno chiuse per dieci giorni. Inoltre, le autorità di entrambi i paesi hanno annunciato la chiusura dello spazio aereo reciproco.
In caso di conflitto aperto, il confronto tra i due eserciti sarebbe sbilanciato: l’India dispone di un numero doppio di effettivi e mezzi, ma entrambi i Paesi possiedono arsenali nucleari di dimensioni simili.
Fonti: RSI e Quotidiano Nazionale
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