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Neuralink e i chip nel cervello: migliaia di volontari per le sperimentazioni umane

di Lorenzo Peratoner

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La rivoluzione tecnologica targata Neuralink si sta profilando all’orizzonte con tutta la sua ambigua e ottimistica concretezza; la fusione tra uomo e tecnologia, infatti, vedrà molto presto realtà, coinvolgendo una platea di almeno 11 persone per il 2024, e 22mila per il 2030. Nonostante le grandi speranze riposte da Elon Musk e dal suo entourage, non mancano i dubbi etici e di sicurezza.

Neuralink, al via le sperimentazioni sull’uomo: gli obiettivi

All’inizio del 2023, Neuralink ha ricevuto dall’FDA statunitense (l’ente regolatorio per la salute pubblica) il permesso di iniziare i suoi test su delle cavie umane; si tratta di un punto di arrivo in seguito alle lunghe sperimentazioni condotte sugli animali, che, stando a un’inchiesta federale ancora aperta, potrebbero aver portato alla morte di circa 1.500 cavie, dal 2018 fino a oggi.

Tuttavia, l’autorizzazione concessa permetterà a Neuralink di impiantare dei chip nel cervello di cavie umane volontarie, le quali, stando ai requisiti richiesti dall’azienda, dovrebbero soffrire di una paralisi per tutti e quattro gli arti (a causa di una lesione del midollo spinale o SLA). I volontari in lista d’attesa, tuttavia, sarebbero già in un numero considerevole, con cifre che si attesterebbero sulle migliaia (reportage di Bloomberg).

L’intento di Neuralink, infatti, è quello di sfruttare la tecnologia per un superamento delle paralisi; questo obiettivo, di per sé molto ambizioso e nobile, rappresenterebbe il primo step per una futura integrazione più completa tra uomo e macchina. Stando alle dichiarazioni del manifesto di reclutamento, il primo scopo è quello di permettere ai volontari di muovere degli oggetti esterni, come una tastiera di un computer, mediante il pensiero.

Cervello

Cervello (@Shutterstock)

L’operazione, i rischi e la bioetica

L’operazione per impiantare il chip dovrebbe richiedere approssimativamente due ore di tempo, necessarie per estrarre una piccola porzione di cranio (dal diametro di 2,2 millimetri) mediante un laser a femtosecondi. Esposto quindi il cervello, si può procedere con l’applicazione di elettrodi e fili che si collegano con il chip, il quale andrebbe a ricoprire il buco lasciato scoperto dalla porzione di cranio rimossa.

Un report di Business Insider, riportato da Wired Italia, metterebbe tuttavia in guardia circa i potenziali rischi di queste operazioni. Pazienti che in passato hanno ricevuto trattamenti simili a quelli proposti da Musk, infatti, avrebbero subìto degli effetti negativi sulla psiche e sulla cognizione; tra questi, ad esempio, degli stati dissociativi e un tentato suicidio. L’ultima incognita, inoltre, coinvolgerebbe l’eventuale intrusione di criminali nel dispositivo elettrico installato nel cervello.

Ogni impianto costerebbe circa 10mila dollari, tanto che ai volontari ne sarebbero sarebbero richiesti 40mila per partecipare, così da garantire dei ricavi nei prossimi anni.

La simbiosi uomo-macchina può davvero rappresentare la tappa definitiva della nostra evoluzione? Si tratta di una meta auspicabile, a fronte degli eventuali effetti benefici? Tutte queste domande bio-etiche, nei prossimi decenni, entreranno sempre di più nella nostra quotidianità, soprattutto se queste prime sperimentazioni avranno degli esiti positivi.

Fonti: Wired, Repubblica, Business Insider

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