Anziano (@Shutterstock)
Vi sono dei nuovi sviluppi nella lotta contro le malattie mentali e, in particolare, quelle che affliggono la memoria. Uno studio pubblicato su Alzheimer Disease and Associate Disorders ha infatti evidenziato l’importante ruolo che la musica può ricoprire nelle terapie per combattere l’Alzheimer. Andiamo quindi a spiegare perché ciò è possibile, secondo un punto di vista scientifico…
Alzheimer Disease and Associate Disorders è una rivista internazionale peer-reviewed con sede negli Stati Uniti ed è rivolta principalmente a clinici e ricercatori del settore, specializzati in malattia di Alzheimer e in disturbi associati. Lo studio in questione è stato pubblicato lo scorso 25 agosto e ha suscitato grande entusiasmo per l’innovazione che potrebbe portare all’interno delle terapie volte a combattere l’Alzheimer.
I ricercatori, in particolare, hanno osservato le reazioni dei pazienti nel momento in cui questi ascoltavano musica legata al loro passato. Si parla, quindi, non di musica generica, bensì di melodie particolarmente emozionanti per i soggetti, che hanno segnato le loro vite. In questi casi, i pazienti affetti da Alzheimer e demenza, hanno reagito positivamente agli stimoli, creando “bei momenti” con gli operatori e i familiari coinvolti.
Secondo la ricerca, quanto scoperto dipende dal fatto che la malattia attacca più tardi le aree del cervello umano adibite all’elaborazione della musica, come il cervelletto. Così, i pazienti riescono a ricordare più facilmente le emozioni legate a queste musiche del loro passato, anche ad un livello avanzato della malattia; in alcuni casi, anche dopo aver perso l’uso del linguaggio. Borna Bonakdarpour, tra gli autori dello studio, ha affermato:
“I pazienti sono stati in grado di connettersi con i loro partner attraverso la musica, una connessione che non era loro disponibile verbalmente”.
I pazienti, quando è partita la musica hanno iniziato a ballare, cantare e persino suonare degli strumenti. Al termine, hanno inoltre apprezzato maggiormente il dialogo con gli operatori rispetto a quando seguivano un programma “tradizionale”, assumendo dei farmaci. La ricerca, in futuro, potrebbe quindi anche portare a creare delle terapie prive dell’utilizzo di medicinali…
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